-11-

3.7K 174 37
                                    

Amelia insiste nel farmi restare in cucina a osservare la madre mentre prepara la pasta fresca fatta in casa.
Devo ammetterlo, nessuno dei miei familiari ha mai creato qualcosa di così elaborato; sarà che ci vuole molta pazienza e abilità, cosa assai rara dalle nostre parti.

La osservo affascinato rompere cinque uova e lasciarle cadere una a una all'interno della "fontana" di farina, aggiungendo poi un generoso pizzico di sale.
«Posso aiutare a fare qualcosa?» domando con cortesia.
Non ho voglia che Rosa - questo il nome della madre di Amelia -, faccia tutto da sola.
Dopotutto, non era pronta a ricevere la presenza di un ospite inatteso.

Ci penso bene.
In realtà, sono state entrambe a costringermi a restare. Non dovrei farmi tanti problemi.

«In effetti potresti. In quel pensile c'è un salta pasta capiente. Se puoi prenderlo e poggiarlo sul piano di cottura.» Con una mano continua a impastare e con quella libera indica un armadietto accanto allo scolapiatti.

Scendo dallo sgabello pronto a fare ciò che ha detto.
Una domanda nasce spontanea: come fanno di solito ad arrivarci se sono una più bassa dell'altra?
Potrei consigliare di abbassarlo di poco, ma così facendo c'è la possibilità di equivocare le mie intenzioni e pensare che io mi stia proponendo per quel compito.

Meglio tenersi alla larga da questa famiglia e volare basso.

Prima del loro arrivo ero solo io, la mia solitudine e i miei problemi, nient'altro.
Cavolo, detta così sembra peggio di quanto sia in realtà.
Amo il mio nuovo me: fingere l'intera giornata mi tiene impegnato e non mi fa pensare, e poi sono a mio agio e ormai pratico ad allontanare le persone, a impedire a chiunque di mettere un piede al di là della soglia.
Va bene così.

Già.

Abbasso lo sguardo e scorgo il mio riflesso distorto in un coperchio di acciaio sul pianale: l'immagine di un ragazzo piegato e sgretolato dagli eventi.
La verità è che non merito alcuna felicità, non dopo quello che ho fatto a mio padre.
I fatti accaduti sono soltanto frutto delle mie colpe, una giusta punizione, una da portare avanti a vita.

«Vieni a vedere, Damien!»

La voce gioiosa di Amelia mi riscuote da quei pensieri bui, un barlume di luce in tanta nebbia.
Chiudo le palpebre e prendo un bel respiro.
Non lasciare che lo vedano, che scorgano il tuo dolore, tienilo per te, covalo in gran segreto e nascondilo agli sguardi di tutti.
Mi volto con un ampio sorriso e fingo curiosità.
Rosa sta passando la sfoglia nella macchina per la pasta, gira la manovella con ardore e crea delle lunghe fettuccine, spesse e compatte.

«Non vedo l'ora di assaggiare la sua cucina.» Parlo direttamente con lei, ascoltandola ridere.

«Dammi pure del tu, non essere così formale!» ribatte e mi guarda affettuosa.
Annuisco e nello stesso frangente sento il cellulare vibrare nella tasca. Lo estraggo e un numero ben conosciuto spicca sullo schermo.

È Daniel.
Si starà domandando la ragione della mia scomparsa senza lasciare traccia.

«Scusate, torno subito» mi giustifico mostrando il telefono, uscendo poi dalla cucina.
Non appena schiacciato il pulsante verde, ascolto la voce del mio amico iniziare a parlare a raffica.

-Come mai non sei venuto? Ti sei sentito male? Non riesci a camminare? Ti hanno investito?-, e continua a elencare per un minuto buono i motivi peggiori per cui non sarei dovuto andare a scuola.

Lo lascio fare, perché mi diverte la fantasia di Daniel e voglio proprio vedere fin dove arriverà.
Dopo un attimo di silenzio da parte sua, forse per riprendere fiato, mi decido a parlare.

DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora