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Mi siedo e tiro di nuovo una gomitata nel fianco di Daniel nella speranza di fargli male, però lo ascolto solo rispondere con un semplice mugugno infastidito.
Sono troppo buono, avrei dovuto cacciarlo sin dal principio, invece di passare un'intera nottata a lottare contro di lui. Il letto è a una piazza e mezza, e il mio fastidiosissimo migliore amico ha preso l'intera superficie come se fosse totalmente sua.
Fisso la sveglia. La maglia è caduta a terra e i numeri rossi lampeggiano, segnando le sei.

Grazie, Daniel.
Già faccio fatica a dormire per via della mia perenne insonnia, per gli spasmi alle gambe e il mal di testa; è giusto che ci sia anche tu a disturbarmi.
La prossima volta ci penserò un bel po', prima di invitarlo a dormire a casa mia.
Poso lo sguardo su di lui. Il bordo della maglietta è alzato e sulla schiena intravedo un paio di lividi freschi.
Li sfioro con la punta delle dita, ne percorro l'intera superficie e, quando mi avvicino al fianco, lo sento sussultare e voltarsi di scatto.
Mi fissa con una smorfia confusa.

«Che succede?» sussurra roco, troppo insonnolito per comprendere quello che è successo.
Alzo le sopracciglia e scuoto il capo, butto nel mezzo una banale scusa per discolparmi e riesco quasi a sentire le rotelle nella sua testa girare per mettersi in moto. Non posso di certo dirgli che stavo tracciando i bordi dei suoi lividi, maledicendo mentalmente la bestia che è suo padre.

Rabbrividisce e tira giù la stoffa per ricoprire la pelle fredda, borbotta tra sé e sé e mi lancia di nuovo un'occhiata.

«Ti stavi in qualche modo vendicando di qualcosa, facendomi il solletico?» si lamenta insofferente.

Ah, già. Avevo dimenticato il suo punto debole, soprattutto sui fianchi. Un buon modo per difendermi nei momenti in cui mi assilla, o mi dà il tormento.

«Ma no. Devi aver fatto un incubo» mento, stringendomi nelle spalle. Mi fissa ancora con una faccia scettica, poi, vinto dalla stanchezza, si sdraia nuovamente tirando le coperte fin sul mento.
Sposto le gambe oltre il letto lasciandole penzolare per qualche istante. Non fa poi così freddo, non di certo come due mesi fa, dove non potevo poggiare il piede nudo sul pavimento senza pentirmene.

Sollevo il corpo come se niente fosse, tuttavia mi sbilancio e, cadendo al pari di un sacco morto, sbatto i gomiti a terra. Gemo per il dolore, le palpebre serrate e le sopracciglia corrugate.

«Damien, tutto bene?» domanda Daniel alzandosi allarmato, fa il giro del letto fino a ritrovarsi dal mio stesso lato.
Annuisco debole, mentre passo una mano sugli arti inferiori.
Sono entrambi intorpiditi, ed è come se non scorresse fluido il sangue al loro interno, ma io so bene questo cosa vuol dire: si tratta di un principio di ricaduta dovuto alla mia patologia. Lo avevo capito già dall'altro giorno, quando ho avvertito un lieve pizzicore nella punta delle dita, l'instabilità a tenere gli oggetti tra le mani e la vista sfocata all'occhio destro.
L'ultimo dei problemi è il peggiore, perché mina le mie capacità nel disegno e nel saper prendere le distanze.

«Cosa posso fare per te?»
Daniel cerca di mantenersi calmo e si china alla mia altezza, tiene la presa sulla mia spalla e scruta gli accenni di sofferenza sul volto.

«Dammi un minuto e starò meglio, tranquillo» rispondo dando segnali di movimento alle gambe, senza tuttavia sentirle al cento per cento.
Erano anni che non avevo una ricaduta seria. La più grave è stata nel momento del ricovero in ospedale, dove praticamente non riuscivo più a muovermi, costretto a camminare come un robot per riuscire a compiere brevi passi faticosi.
Magari è solo una piccolezza che poi passerà da sé, o almeno lo spero.
Dopo qualche istante riprendo possesso del mio corpo e, facendomi leva su Daniel, mi alzo con cautela.

«Non volevo svegliarti di nuovo» mi scuso prendendomi di rimando un verso fischiato.

«Ti pare? Se hai qualche problema il sonno non conta» ribatte sicuro e mi aiuta a sedermi sul letto.
Sbuffo.
Cavolo, non ho voglia di presentarmi con le stampelle a scuola. Nessuno è a conoscenza della mia patologia, e speravo rimanesse un segreto ancora per molto tempo.
Un conto è ammetterlo con un perfetto sconosciuto che poi non rincontrerò mai più, l'altro, è sbandierarlo all'intera scuola.

DestinoWhere stories live. Discover now