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Scruto il paesaggio dal finestrino e mi chiedo come mai, Jason, abbia sentito la necessità di prendere la macchina. Dopotutto, Jessica mi ha detto di non abitare così lontano da noi.
Beh, non sia mai che si faccia una camminata.
No, mio fratello è auto dipendente.
Potrei fare la battuta su come una passeggiata lo aiuterebbe a smaltire qualche chilo, ma diamine, se soltanto ne avesse qualcuno di troppo! È inspiegabilmente in forma, il fisico asciutto e longilineo, più di un accenno di muscoli sulle braccia e sul torace.
Andrà in palestra?
Devo ammettere di non sapere molto su di lui. In verità, a pensarci bene, rasentiamo il minimo indispensabile: io trascorro la maggior parte del tempo chiuso nella mia stanza, e da lì è davvero difficile rapportarsi con il resto del mondo; lui si divide tra il lavoro e l'abitare in una casa occupata dai fantasmi del passato e l'immancabile silenzio eretto dal sottoscritto.

«Allora, Sonny, come te la passi?» Jessica si sporge oltre i sedili spuntando alla mia sinistra, rivolgendosi a mio fratello con il vecchio nomignolo con cui era solita chiamarlo.
L'odore del suo profumo alla rosa arriva alle mie narici, dolciastro e persistente, e la mia mente si indirizza subito sulla fragranza di miele e pino portata spesso da Amelia.
Così delicata, unica e amabile; molto diversa dai sentori di aggressività indossati da mia cugina.

«Mah, sai, mi giostro tra il lavoro e il poco tempo libero. C'è molto da fare, e sarebbe bello avere a disposizione giorni da quarantott'ore» risponde Jason senza però staccare gli occhi dalla strada. Intercetto una domanda affiorare sulle labbra di Jessica, e mi affretto a sbarrare la sua strada.

«Ultimamente vai in palestra, no? Mi sembri allenato» domando di getto nella speranza di fare centro, eppure non sono per nulla interessato alla risposta. L'ho fatto solo dopo aver notato lo sguardo di mia cugina e sguazzato nella sua avidità di scoprire qualche particolare in più sulle condizioni della mamma.
Non ho davvero voglia di parlarne ora. Tanto so già che sarà un argomento di intrattenimento per il pranzo, uno dei più gettonati, e almeno ci saranno tutti, così non dovrò ripeterlo due volte e beccarmi il doppio degli sguardi di compatimento.

Jason sembra sorpreso e non riesce a fare a meno di farmelo notare con un'occhiata fugace, ma significativa. «Sì, vado in palestra. Da mesi, ormai», aggiunge l'ultima parte con un sorriso incredulo.

—Ti interessa davvero?—, questo vorrebbe chiedere, lo capisco dalla mascella contratta e dallo sbuffo eruttato fuori dal naso, tuttavia la presenza di Jessica lo costringe a mordersi la lingua.
Ma come, Jas, non vuoi mostrare quanto i due fratelli siano uniti, così uniti, da non conoscere neppure un particolare tanto banale?
Salviamo le apparenze, ci riesce così bene.

«Lo so, lo so. Questa maglia risalta i tuoi risultati» mi giustifico con un falso complimento, nonostante lo abbia notato solo da qualche minuto.
Dovrei mettere cura nei particolari. Sono loro la colonna portante di ogni mia bugia, e mio fratello non è esente dal gruppo.

Jessica si intromette. «Quindi non sei più un pappamolle! Senti ormai che braccio tonico! Sarai l'idolo di ogni ragazza» esclama e glielo stringe forte, incurante del fatto che lui stia guidando.

Jason si lascia andare a una risata cristallina. «Non sono mai stato un pappamolle, come dici tu. Ricordati delle sfide di forza che ho spesso vinto» la rimbecca e si gonfia di orgoglio.
Questa sua stessa espressione mi catapulta indietro di molti anni, quando, davanti a noi, era solito vantarsi per i suoi successi e canzonarci.
Per un attimo mi si toglie il fiato e mi gira la testa, l'auto scompare e mi ritrovo sotto l'albero del parco, l'afa a tracciare segni di sudore sulla fronte, le cicale a frinire sui rami, il rubinetto della fontanella girato al massimo per ingurgitare più acqua possibile e dissetare le gole aride dal troppo correre.

–Damien, tuo fratello ama scherzare. A chi non piace, dopotutto?–
Lo so, papà. Lo so bene, non devi ricordarmelo.

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