<86> Isaac.

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Fisso il foglietto tra le mie dita, una semplice pagina spiegazzata. C'è qualcosa di pesante in questa situazione, e non appartiene al foglietto, malgrado sia stato lui la causa degli eventi scatenanti: è il nodo nella mia gola; un peso invisibile sulle spalle; la convinzione di avere appena perso tutto.

«Che cazzo sta succedendo» mormoro allibito posandomi una mano sulla fronte, le lettere quasi diventano doppie a forza di leggerle e rileggerle.

Un ordine restrittivo di non avvicinarmi a Nathan.

Questo genere di cose, di solito, non ci mettono più tempo per essere approvate?
Stupido. Jhon avrà fatto pressioni ai suoi amici importanti, a quelli dei "piani alti". Fottuto signor perfettino.

«Merda» impreco, accartoccio la carta e vorrei soltanto vederla scomparire. Mi sento diviso a metà: arrabbiato e triste.
Perso in una situazione che non è la mia.
Già, deve essere così.
Si tratta di un incubo, qualcosa proiettato dalla mia mente per renderla così reale da straziarmi il cuore con mille minuscoli aghi appuntiti.
Afferro il cellulare e digito un messaggio, i denti sono talmente serrati da sentire dolore nelle tempie.

—Questo merito? Una porta chiusa a chiave? Troppo codardo per dirmelo in faccia, Nat?—

Non potrò rivederlo. No, è uno scherzo, deve esserlo per forza. Credere il contrario mi ucciderebbe; meglio vivere nella falsa speranza.
Due giorni di assenza a scuola, da parte sua, mi avevano insospettito, ancora di più il silenzio stampa dall'altro lato nonostante i miei numerosi appelli.
Perché non sono andato a trovarlo, allora?
Forse il vedermi tornare a casa con le nocche imbrattate di sangue, la colpa negli occhi e il cuore nero sono stati indizi importanti per tenermi buono al mio posto, per trincerarmi in un bozzolo di assenza, almeno per un po'.

«Assurdo» mormoro alzandomi in piedi, scrocchio una a una le nocche e sbuffo forte, il panico ad attanagliarmi il petto. Cosa sono queste macerie che mi si stanno infrangendo contro?
Mi sembra di navigare in un lido minaccioso senza via d'uscita.
Il suono del telefono abbandonato sul letto si solleva quasi pigro. Osservo il piccolo trafiletto sullo schermo lampeggiare, si spegne e ci metto almeno un minuto buono prima di decidermi ad aprirlo.

—Non ho avuto il coraggio di dirtelo in faccia perché mi fai paura. Non mi sento sicuro con te, Isaac, e non puoi biasimarmi per questo.—

Rido sprezzante e resisto alla voglia di sfracellare sul muro l'oggetto tra le mie dita.
Va tutto a rotoli.
Dannazione.

—La colpa è tua! Ti sei allontanato e mi hai lasciato indietro a covare la rabbia in silenzio senza fare nulla per placarla— digito veloce e invio, colto da un'improvvisa smania.

La colpa è sua.
Ci credo davvero?
Cazzo, Isaac, sei grande ormai, le lamentele da bambino viziato avresti dovuto abbandonarle tanti anni fa.
Mi risiedo sul letto tenendomi la testa tra le mani, le dita incastrate tra la fronte e le tempie, la pressione dei polpastrelli vera e crudele.
Il potere di una prova concreta è in grado di gettarti in basso più di tante minacce vane, adesso lo so.
Perché ho continuato a giocare con il fuoco?

—Lo pensi davvero? Credo di meritare solo il tuo sincero appoggio nella scelta di non farmi usare, picchiare e demolire da una persona come te. So che il tuo amore era soltanto una parola vuota, ma in nome di quello che dicevi di provare, sblocca la serratura del mio lucchetto e permettimi di volare via.—

Rileggo quella stessa frase per tre volte e ancora non ne ho abbastanza.
Il mio amore... una parola vuota? Non è serio.
Ho sempre dimostrato il mio folle amore per Nathan, l'ho amato come nessuno potrà mai fare su questa terra, neppure tra un milione di anni.
Si blocca il fiato in gola e mi chino in avanti con fatica. Arrancare tra un respiro e l'altro mi rende fastidioso ai miei stessi occhi.
Tornerà. Deve tornare. Siamo fatti l'uno per l'altro, giusto?

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