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Mi guardi dall'alto. Sei davvero tu?
Non sei mai venuto a trovarmi, se non per essere lo sfondo delle tragedie della mia vita, del mio dolore e della mia tristezza.
Non sono stato un bravo figlio, non è così? Lo so, questa è la mia più grande colpa, oltre a quella di averti ucciso.
Sollevo lo sguardo, coprendomi il volto con la mano a schermare i fari accecanti. Ti fanno diventare un'ombra minacciosa, ma tu non sei così... giusto, papà?

Tu sei sempre stato buono.

Allora perché mi guardi con disprezzo, con le labbra piegate verso il basso e gli occhi spenti?
Ti muovi, ma è come se non lo facessi.
O sono io a muovermi?
Osservo le mie dita afferrare i gradini di questa lunga scala, i palmi trafitti dagli angoli spigolosi, lo sforzo dei muscoli ben visibile.
Non ho il controllo del mio corpo, agisce senza il mio permesso, e io glielo lascio fare.

Una sirena in lontananza si disperde nell'aria, o forse è solo il suono di quel giorno che ancora mi perseguita, mi risveglia quando meno me lo aspetto, mi tormenta con crudeltà.
Arranco, mi affanno, però i gradini continuano a crescere, e tu ti allontani.
Non vuoi stare con me, papà? Mi stai definitivamente lasciando?
Lo scenario trema, proprio come la mia anima.

Sono io che ti sto lasciando.

Ho smesso di aggrapparmi al tuo ricordo e sto cancellando, lentamente, il sangue dalle mie mani colpevoli.
Non voglio perderti, desidero tenerti nel mio cuore per sempre.
Grido, eppure la voce non esce.
Sollevo lo sguardo ancora una volta e noto che non sei più solo: c'è una figura nuova con te, poco più bassa e molto più infelice.

Chi è? Non riesco a riconoscerla.

È sfocata, soltanto la linea della bocca brilla sul suo viso, una linea curva che riesce a farmi sprofondare nello sconforto.
Tu ridi, papà, mi fai cenno di raggiungerti, e io non voglio.
Ho paura, adesso, ho paura di te e di ciò che potrei trovare, una volta giunto fino in cima.
La figura minuta si china, soffre, la vedo portarsi le mani al petto, travolta da un dolore lancinante.

Qualcuno la aiuti, qualcuno la salvi.

Papà... ti sei trasformato, non ti riconosco; hai un viso che non ti appartiene, un volto nemico.
Sollevi la gamba e dai un calcio alla figura, facendola cadere in avanti. La osservo rotolarmi accanto, la sua schiena colpisce gradino per gradino e produce rumori che mi esplodono nelle orecchie.
È un ragazzo. Tende la mano verso di me, e desidero tanto prenderla e abbracciarlo tra le lacrime, ma sono troppo lento per afferrarla, e resto immobile a guardarlo soffrire, mentre il suo braccio scivola al fianco in un gesto arrendevole.

Se solo fossi stato più veloce.
Se solo lo avessi protetto meglio.

I fari illuminano le sue iridi, il verde si proietta nella mia mente e, nel frattempo, tutto il resto diventa buio.
Grida, o sono io a farlo?
Cade sulle ginocchia, qualche metro più in basso, e la posa del corpo è innaturale, sembra spezzata e ricomposta alla meno peggio; un grottesco dipinto di un essere divenuto mostruoso.
Tu lo deridi, papà, ma so che non sei tu.
La tua risata è sempre stata dolce e gentile; questa è roca e maligna.

Continuo a fissare il ragazzo, e somiglia tanto a una candela in procinto di spegnersi, inglobato dalla tua cattiveria.

Piango e urlo, mentre il tuo ghigno mi riempie la testa.
Le luci nei fari si rompono e chiudono il sipario su quella scena terrificante.
Nulla sarà più come prima.

Sussulto e apro le palpebre, le coperte mi avvolgono, una spirale di stoffa capace di togliermi il fiato. Devo essermi mosso davvero tanto, durante il sonno, per ridurmi in questo stato.
Mi sento imprigionato senza la necessità di trovarmi dietro le sbarre e scosto le lenzuola, asciugandomi la fronte sudata con un lembo della maglia.
Ho la nausea e mi metto seduto con uno scatto, il peso del corpo al di là del bordo del letto, le mani strette attorno alla morbidezza del materasso, l'aria ingerita con l'ingordigia di un folle.

DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora