<99> Nathan.

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Un gabbiano si solleva nel cielo, e un altro ancora, subito dopo.
Osservo per qualche istante Damien allontanarsi; il sole è così forte da costringermi a trovare riparo dietro le dita serrate.

Tutto mi sarei aspettato, ma mai un confronto diretto tra noi. In nessuna occasione abbiamo avuto grandi conversazioni: lui ha sempre preferito aggirarmi, come se non riuscisse a spingersi oltre una qualche barriera invisibile.
Adesso, invece, si è completamente fiondato contro il vetro, distruggendolo in un paio di minuti.

Mi ha sbraitato contro, l'abbiamo fatto entrambi, tuttavia mi sono sentito felice, quasi speciale.
Riesco ancora a percepire il calore della nostra stretta di mano.
Un gesto prezioso per un tipo insicuro come me.
Scuoto piano la testa, mentre mi sento sciocco a pensarlo.
Magari, Damien l'ha preso solo come un modo per difendere il suo migliore amico e niente di più. Come sempre avrò dato per scontato il pronostico favorevole, e di sicuro il nostro rapporto tornerà quello di prima: sorrisi di circostanza e aria tesa.

Sbuffo. Ho altro a cui pensare.
Daniel è fermo al mio fianco e non ha proferito neppure un vocabolo; è già tanto se respira.
Azzardo una mano contro la sua e lui sussulta, preso alla sprovvista.

«Possiamo parlare?» dico timido, l'agitazione che sale e infonde il mio petto.
Devo stare calmo, andrà tutto bene.
I suoi occhi si infrangono nei miei e basta quel semplice tocco a farmi tremare le gambe, a scioglierle completamente.

Sarò in grado di tirare fuori altre parole, oltre queste due? Forse no.

Daniel mi inibisce, blocca il mio fiato e aumenta a dismisura il battito del cuore. A volte, temo quasi di vedere il mio organo uscire dalla sua nicchia e andare chissà dove, ebbro di felicità.
Lo osservo inclinare le labbra verso l'alto.
«Mi piacerebbe molto» risponde, sigillando le sue dita con le mie.
Un gesto forte; un gesto che vale più di mille frasi.
Daniel è fatto così: è capace di esaltare ogni sentimento senza metterci neppure troppo impegno.
Gli esce naturale, fa parte della sua essenza.
Le mie guance vanno a fuoco, roventi più del sole sulla nostra pelle, seccando le piccole gocce di sudore.

Forza, Nathan.
Forza.

Ci allontaniamo dal gruppo di persone sulla spiaggia, persino dai nostri stessi amici, e Daniel si siede su un tronco largo. Deve averlo portato la marea, gli intrecci nel legno sono enigmatici e meravigliosi.
Rammento a me stesso di non essere qui per ammirare la natura.
Imito i suoi movimenti e, solo in quel momento, noto le sue spalle tese e rigide.

Non sono il solo ad essere agitato, a quanto pare.

«Ci sono poche onde, oggi» esordisce lui fissando in avanti, spaziando sulla distesa azzurra quasi piatta.

Aggrotto la fronte. Perché sta parlando del mare?

Lo ascolto proseguire e spostarsi su tutto ciò che gli capita a tiro, come un ragazzino che gioca a pallone per poi cadere e trascinare giù alcuni amici, o un castello di sabbia abbandonato e i secchielli sparsi tutt'attorno.
Gli sfioro il braccio e, per la seconda volta nel giro di poco, sussulta.
Abbozza un sorriso, uno tra il triste e il pentito.

Sono io a farlo sentire così?

«Scusa. Quando provo nervosismo tendo a sviare il discorso in ogni modo» spiega giocherellando con il bracciale di metallo al polso.
Dischiudo le labbra, il fiato fugge via.
Che stupido sono.
Ho pensato a me stesso e ai miei problemi, ignorando i suoi.
Eppure si è confidato con me, avrei dovuto comprenderlo.

Volto il busto e le gambe nella sua direzione, ginocchio contro ginocchio.
Il suo sguardo si fa attento, profondo come mai l'ho visto prima di adesso. Una nota calda e fredda miscelata assieme.
Iniziare a parlare è sempre complicato, e Daniel posa una mano sulla mia, calda e rassicurante.
I miei occhi si inumidiscono, sommerso dal suo affetto.
Questo ragazzo ha un cuore immenso e un'empatia senza eguali.
Mi mordo le labbra convinto e assorbo la sua sicurezza.

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