<19> Daniel.

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Ho lasciato Amelia e Damien da soli, e spero lui saprà sfruttare questa occasione irripetibile.
Insomma, è chiaro a chiunque che tra quei due c'è qualcosa: un filo magico li ha uniti nell'istante in cui si sono guardati per la prima volta, una calamita li attira l'uno all'altra.
Come facciano a non averlo capito, è un mistero, davvero.

Salgo sull'autobus e, come al solito, resto in piedi, mi aggrappo con una mano ai tubi di metallo e oscillo seguendo il movimento del mezzo.
Cavolo, sembra di stare su una nave nel pieno mare in burrasca.
Sarà a causa di tutte le buche di cui le strade sono ricoperte? Probabile.

Accade in una manciata di secondi, subito poco dopo l'apertura delle porte: la folla si schiaccia su di me, pigia con una tale insistenza da farmi credere di essere alla ricerca di una formula per creare spazio anche dove non c'è.
Mi costringono a curvare il corpo in avanti con il rischio di cadere sulla persona seduta sopra uno dei seggiolini.
Abbasso lo sguardo.
Si tratta di un ragazzo sulla ventina, credo, non sono mai stato bravo a capire l'età degli altri; questa è un'abilità di Damien e il suo occhio lungo sui dettagli.
Traffica con il cellulare, ha l'aria annoiata, produce persino un basso sbuffo dalle labbra imbronciate.

«Bella cover, amico» gli dico e mostro un sorriso affabile.

Già che siamo qui, perché non fare conversazione?

Sì, lo so, in molti casi potrei sembrare invadente, e devo dire di esserlo quasi sempre, anche un po' insistente possiamo aggiungere. Tutt'al più, però, potrei beccarmi indietro un'occhiata storta e una rispostaccia, o magari un gestaccio poco carino.
Non mi interessa.

Tentar non nuoce.

Il tipo alza gli occhi azzurri e mi scruta, prima di esibirsi in un sorriso capace di illuminargli il volto. «Grazie, l'ho presa su un sito per una cifra irrisoria» dice e la solleva per farmela vedere meglio.

Grande, ho trovato qualcuno di diverso con cui parlare, e non la sempre presente donna anziana disposta a lamentarsi del tempo, i dolori alle ossa o i giovani d'oggi, me compreso.
Si può desiderare di più?
Potrei, visto che ho il manico dell'ombrello di un signore infilato tra la costola e l'ascella, eppure ho imparato a volare basso con i desideri e mi accontento di ciò che ho.

«Mi piacciono soprattutto il disegno e gli intrecci di colore» commento, e non desidero passare per un intenditore d'arte; soltanto per un appassionato di cose belle.

«Ha catturato anche me, in effetti. Ero stanco delle solite cover a tinta unita, colori scuri o altro. A volte è bello cambiare» ribatte e sembra fiero di rendere onore al suo pensiero.

Chiacchieriamo per tutto il tempo come due amici che non si vedono da tempo, anche se in realtà non è così.
Alla fine riesco a ottenere parecchie informazioni sul suo conto, è un tipo a cui piace parlare di sé: il suo nome è Gabriel; vive ai bordi della città; gli piacciono i cani, specialmente quelli a pelo lungo; la sua passione sono le moto e non va all'università perché preferisce lavorare.

Cavolo, quanto si scopre di una persona semplicemente parlando, a maggior ragione sui chiacchieroni.
I ragazzi dovrebbero farlo più spesso e smettere di restare incollati agli schermi anche quando si esce assieme.
Insomma, qual è il senso di un appuntamento, se poi non si parla affatto? Tanto vale chiedere di uscire al proprio cellulare.

«È stato un piacere conoscerti, Daniel» dice in seguito al mio annuncio di scendere alla prossima fermata.

«Magari chissà, un giorno parleremo ancora» rispondo e sorrido.
Non mi prendo troppe libertà, preferisco siano gli altri a cercare un contatto più profondo.

«Se ti va, potresti darmi il tuo numero» aggiunge le ultime parole in fretta.
Ecco ciò che intendevo.
Ho lanciato l'amo e la richiesta è partita da lui, così non sono sembrato un ficcanaso, mentre Gabriel si è sentito libero di scegliere se risentirci, o no. Gli snocciolo a memoria il numero mentre lancio un'occhiata di fuori, riconosco i cartelli delle vie e la decadenza impressa in ogni muro.

DestinoWhere stories live. Discover now