<93> Daniel.

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Le coperte frusciano sul mio corpo. Via una nuova rotazione, il braccio sotto il cuscino e gli occhi puntati in direzione del vuoto.
Non riesco a dormire.
È una sensazione che mi attanaglia il petto, lo rende pesante, il cuore su un filo sospeso.
Sospiro piano.
Sono stanco. La giornata alla spiaggia è andata avanti tra schizzi in acqua, corse sulla sabbia e giocate a pallone.
Non sono attività di tutti i giorni e dovrei sentirmi a pezzi, eppure la stanchezza non ha proprio voglia di atterrarmi.
Percepisco il respiro delicato di Damien nel letto alle mie spalle.
Due secondi inspira e due espira.

Un ritmo perfetto.

Cosa starà sognando? Lui non ne racconta quasi mai e, quando accade, descrive incubi. Sembra che la sua mente non riesca a suggerire altro, oltre ai brutti eventi. Al posto suo avrei paura di concedermi al sonno, però Damien è forte, lo è sempre stato.
E io, invece, cosa sogno?
Di solito immagino scenari fantastici pieni di mostri; gare di moto dove, ovviamente, la mia sconfitta non è contemplata e vengo premiato con il massimo delle onorificenze; battaglie epiche in scontri mozzafiato simili alle inquadrature di un vero e proprio film.
Insomma, qualcosa di movimentato.
Raramente mi addentro nel dolore. La mia mente deve aver compreso quanto ce ne sia nella realtà, da volermi risparmiare di notte.
Fortunato, almeno su questo piano.

Tamburello con le dita sul materasso, la luce della luna illumina la stanza di sfumature chiare e morbide.
Basta, è ora di dare un taglio alla mia angoscia. Rimuginare non fa per me.
La mia indole è quella da combattente assegnato alla prima linea, non un codardo nelle retrovie.
Mi sollevo lentamente, attento a non provocare alcun suono, tuttavia, le doghe del letto emettono uno scatto che mi blocca.
Resto in attesa qualche istante, il respiro in gola.

Silenzio.

Solo due occhi chiari brillano nel buio. Lo sguardo che desideravo incontrare.
Gli indico la porta con un cenno del braccio e spero che il bagliore tenue della stanza mi abbia favorito, altrimenti avrò gesticolato da solo come uno scemo.
Per fortuna lo sento alzarsi delicato come una foglia. Accenno un sorriso e dischiudo l'uscio, ascoltandolo poi chiudersi alle nostre spalle.

«Ti senti poco bene?» domanda Nathan, la voce non ha la classica nota di un ragazzo appena sveglio.
Forse non dormiva neppure lui.

«Mi mancava l'aria... Hai voglia di fare una passeggiata fuori?» chiedo vedendolo annuire, quasi grato nell'udire la mia proposta.

Quali pensieri affolleranno la sua mente? Chissà se in uno dei tanti ci sono anch'io.
Metto da parte il sentimentalismo e mi affretto a seguirlo giù dalle scale e poi fuori, sul patio.
Nathan inspira una buona dose d'aria frizzante e io lo imito, percepisco le spalle già più leggere, ed è bastato unirmi a lui per trovare una boccata di pace. Tendo la mano e sfioro le sue dita fredde, spingendo poi per avvolgerle completamente tra le mie calde.

«Vogliamo andare?» propongo con un sorriso e scendo le poche scalette dirette verso il primo spicchio di sabbia.
Di giorno è un luogo così affollato, mentre ora ci siamo solo noi due in questa vasta distesa immobile e silenziosa.
Il mare è una chiazza scura, la luna fatica a infrangersi sulla superficie.

«Ti piace stare qui?» chiedo e tiro su con il naso.
Mi aspettavo facesse un po' meno freddo, in realtà. Il vento portato dalle onde ci batte contro, però siamo due pilastri intenzionati a proseguire senza farci sconfiggere.

Nathan annuisce. «Molto. Ero un po' spaventato all'idea di conoscere così tante persone nuove, invece mi sono ricreduto. Sei circondato da molto amore» commenta e io deglutisco.
Ha perfettamente ragione.
Tutti loro mi hanno accettato come parte integrante di un nucleo già stabilito, destinando a me uno spazio preciso e confortevole.

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