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Il volto di un uomo si affaccia e mostra un largo sorriso. Credo abbia all'incirca una trentina d'anni, se non erro.
«Siamo pronti, Damien» sentenzia, trafficando con la macchina.

Afferra la mia mano e posiziona tra le dita una pompetta dalla copertura spessa e liscia. All'interno c'è un campanello nascosto.

«Se dovesse servirti, non esitare a chiamarci» dice riferendosi all'oggetto.

Gli spazi chiusi mi creano una certa angoscia, però, per fortuna, riesco a tenerla a bada.
Non dovrei sentire il bisogno di usarlo, anzi, si può dire che per il timore di schiacciarlo involontariamente, sono solito tenere le dita immobili fino a farmi male.
Muovo lo sguardo lanciandogli un'occhiata da sotto quella gabbia di plastica posizionata sopra il mio volto, e abbozzo un sorriso di ringraziamento.

«Mi raccomando, cerca di stare fermo il più possibile» si raccomanda spingendo il pulsante al lato.
D'istinto irrigidisco il corpo mentre la macchina inizia a muoversi e il lettino viene trascinato all'interno del tubo.
Vedo sfilare sopra i miei occhi il cilindro e chiudo le palpebre deglutendo.
No, non mi piace per niente stare chiuso qui dentro. Mi sento come un animale in trappola.

Cerco di mantenere una respirazione lenta e controllata, proprio come consigliato. Cavolo, dovrei esserci abituato; ormai ne ho affrontate molte di risonanze.
Faccio un rapido calcolo mentale.
Be', solo sette in verità, non sono poi così tante.

Rilasso le spalle facendole aderire completamente al lettino. So già che, senza accorgermene, le tenderò di nuovo e, una volta terminata la risonanza, avrò dolore ai muscoli.
Ecco che iniziano i primi rumori, rintocchi sordi tra un intervallo e un altro, quasi come i colpi oscuri di avvertimento prima del grande scoppio di fuochi d'artificio.
A breve il tunnel si riempirà di suoni simili a un campo di battaglia.

Avrò un mal di testa assicurato, non ci sono dubbi.
Ho le mani fredde e l'avambraccio nudo dove è stato infilato l'ago tocca sulla parete laterale.
È congelata.
Tiro su con il naso e mi maledico per averlo fatto.
Proprio ora che non posso muovermi doveva gocciare?

Serro gli occhi con un sospiro.
Il concerto inizia e così anche la mia fantasia comincia a viaggiare.
Non è che ci siano poi così tante cose da fare in questo piccolo antro stretto se non quella di immaginare scontri tra navicelle nemiche, o spari in battaglia seguendo il ritmo dei suoni.
È strano pensare come gli uomini dall'altro lato del vetro stiano scrutando all'interno del mio corpo.
Sarà una pratica noiosa; dopotutto, gli esseri umani non sono poi così diversi tra loro.
Cerco di spostare l'attenzione verso pensieri diversi.
Non ho ancora ricevuto una telefonata da parte di Daniel.

Strano.

Solitamente, quando mi reco in ospedale, si accerta sempre delle mie condizioni al limite del petulante.
Finita la risonanza sarà tardi per andare a scuola, quindi passerò a trovarlo.
Il lettino torna a muoversi trascinandomi verso l'esterno, le palpebre socchiuse per abituarmi di nuovo alla luce.
In questo tunnel perdo la cognizione del tempo, e a quanto pare sembra essere volato.
Ed eccomi di nuovo a fissare il volto dell'uomo di poco prima.

«Mettiamo il contrasto adesso» mi informa cordiale.

Annuisco e volgo lo sguardo altrove. Sono suscettibile alla vista degli aghi, a maggior ragione quando scorgo anche una minima traccia di sangue.
Rabbrividisco al solo pensiero.
Finisce di inserire nel mio corpo il liquido - una sostanza in grado di mostrare se sono presenti lesioni nei miei organi -, e si torna in fondo, pronto per il secondo round della battaglia di rumori.
Prima che inizi il concerto, però, asciugo veloce il mio naso con un fazzoletto che avevo in tasca.

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