<44> Daniel.

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Non posso crederci.
Deve trattarsi di un incubo dal quale presto mi sveglierò.

Rumori di bottiglie che rotolano, un borbottio strascicato.

Mio padre si sta lamentando sulla sua poltrona sudicia; c'entra qualcosa il fatto che io abbia lasciato la porta aperta in attesa dell'arrivo di Damien, e sono questi dettagli a tenermi ancorato alla tremenda realtà.

Non è un sogno, sono perfettamente sveglio.

Mi porto le mani al volto. Le percepisco fresche, anzi, gelate. Lascio andare un sospiro spezzato e addolorato, respiro tra la fessura delle dita e le premo un istante sulle palpebre, prima di riportare le braccia attorno alle gambe.
Resto seduto sui gradini della casa, il vento frusta le erbacce alte dentro il giardino, si spinge persino nelle crepe degli infissi, creando una sinfonia drammatica.
In questo momento non riesco a pensare a niente, tranne al fatto che mia sorella sembra scomparsa.
Cosa è accaduto? È la sola domanda importante, l'unica capace di angosciarmi nella sua tetra semplicità.
Sono il fratello maggiore, avrei dovuto proteggerla in ogni istante.

Torno in piedi, incapace di stare fermo, e sbuffo.
«Forza, ti devi dare una svegliata» mi impongo a voce alta.
Inutile fasciarmi la testa prima di essermela rotta. In poche parole: non devo comportarmi come Damien e il suo cinismo onnipresente.

Passi in lontananza. Qualcuno sta correndo.
Alzo lo sguardo oltre il cancello nella speranza di scorgere la figura di mia sorella, eppure non è lei, ma il mio migliore amico.

«Daniel!» dice venendomi incontro.

Deglutisco e mi avvicino. Mi fissa preoccupato, ha il fiatone per la lunga corsa e le guance arrossate.
Damien si è subito proposto di dare una mano nella ricerca di Roberta.
Lo so, lo stress non fa affatto bene alla sua patologia, però non avevo nessun altro a cui chiedere supporto morale.
Appena ho dato la notizia a quel mostro di mio padre, ha saputo rispondere soltanto con un: "Bene, una bocca in meno da sfamare."

Dio solo sa come sono stato in grado di mantenere il controllo, e impedirmi di spaccargli la faccia fino a fargli sputare i denti uno a uno.
Il genitore è la prima figura sulla quale un figlio può sempre contare, la più importante nel momento di necessità.
Sorrido triste.

Non è il nostro caso.

«Come stai?» domanda il mio amico posandomi le dita sulla spalla, le stringe leggermente per donarmi una sensazione di vicinanza.

Come sto? Bella domanda.

Mi sento a pezzi, come se avessero afferrato il mio cuore già malconcio, per poi stringerlo e dividerlo in mille parti.
Roberta è la ragione che mi tiene in superficie.
Senza di lei avrei abbandonato la speranza da un pezzo e, chissà, se avessi avuto la forza di andare avanti nonostante tutto, sarei persino diventato uno di quei tipi che affoga i dispiaceri nella droga o nell'alcool, proprio come mio padre.
Cerco di riprendermi e sganciare un sorriso; un gesto arduo persino per uno come me.

«Me la cavo. Ovviamente sono preoccupato, però non penso al peggio» rispondo e la voce trema impercettibile.
Non è vero.

Il primo pensiero è stato un rapimento.

Se ne sentono tante di storie al giorno d'oggi, e mia sorella è un bocconcino prelibato in questo mondo di squali.
Se l'avessero adescata fuori da scuola?
Già mi immagino delle mani sconosciute afferrare il suo fragile corpo e tingerlo di un nero indelebile.

Non posso pensarci.

Damien annuisce e si guarda attorno.
«Hai domandato ai vicini se per caso l'hanno vista rientrare, e poi uscire di nuovo, magari con delle sue amiche?» domanda, riportando l'attenzione su di me.
Scuoto il capo. In verità non ne ho avuto l'occasione. Ho atteso tutto questo tempo pregando in un suo ritorno.
Una preghiera che non è stata esaudita.

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