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Una settimana.
In una settimana ho capito quanto le quattro mura conosciute in realtà fossero vuote e finte.
Non sempre; non quando eravamo solo bambini e c'era la felicità a colorarle.
È una sensazione sorta da poco, nei mesi trascorsi o forse addirittura anni.
Ho visto il colore bianco spegnersi tanto da non riconoscerlo più, da non sapere se fossero pareti o sbarre di una prigione.

Ora, in soli sette giorni, splendono di ritrovata vivacità, tirate a nuovo e sazie di nuovi elementi a riempirle.
Perché lo sanno tutti: quando una casa viene abitata, non collasserà mai su se stessa.
L'abbandono può fare questo, e io e Jason l'abbiamo davvero delusa e trattata a mero contenitore per due corpi.

Sospiro e mi volto ad abbracciare il cuscino, la finestra socchiusa lascia entrare il cinguettio degli uccelli.
La porta si spalanca così forte che quasi mi prende un colpo, e mi rizzo a sedere di scatto.

Diamine, sette giorni sono troppi pochi per abituarsi a questo uragano.

«Damien, nascondimi!» sussurra Daniel intrufolandosi tra le coperte, schiacciandomi così in bilico che potrei cadere da un momento all'altro.

Ecco il responsabile del nuovo colore: niente di meno che il mio migliore amico, nonché fratello.
Se mi avessero rivelato di come la mia routine si sarebbe spezzata dal giorno alla notte, non ci avrei creduto.

Ma così è accaduto.

Non appena Daniel ha messo piede in casa, si è preso la briga di stravolgere tutto.
Lo ascolto ridere e coprirsi fino alla testa, premendosi contro il mio corpo con lo scopo di fingere che sia uno solo e non due.
Sbuffo piano tirandogli una gomitata. «Io stavo dormendo» borbotto e lui lascia scivolare una mano sulle mie palpebre, pigiandole verso il basso. «Continua allora» ribatte ironico.

Vorrei strozzarlo, e Jason e Rochelle sarebbero certo dalla mia parte.
Va bene, meglio fare il punto della situazione: è vero, da una parte Daniel ha portato un vento fresco e nuovo, quello di cui avevamo bisogno, ma dall'altra ha afferrato il calendario dei nostri impegni e abitudini, strappandolo in mille pezzi.

Non ha disciplina.

Nessuno gliel'ha impartita, eppure ho la sensazione che stia volutamente lasciando uscire la sua carica in un'esplosione sola, invece di moderarla piano piano.

La mia porta si apre nuovamente e mi ritrovo ben presto travolto da una piccola figura, una che mi infila un ginocchio tra le costole e con le braccia tasta ovunque.
Mantieni la calma, Damien. Resta tranquillo e attingi alla tua pazienza.

Peccato stia finendo.

«Ti ho trovato, fratellone!» esclama Roberta ridendo, sdraiandosi completamente tra noi due.
Come poteva pensare che, nascondendosi dietro di me, divenisse invisibile a sua sorella?

Li ascolto scambiarsi qualche battuta colma di ilarità, e ignoro la pressante voglia di buttarli giù e gridare di andarsene.
Stringo i denti, i gomiti di entrambi nel mio corpo come se mi fossi tramutato in un sacco di sabbia da torturare.

È la mia stanza. La mia, non la loro.
Fuori non mi sembra ci sia scritto: aperto ai giochi. Giusto?
Daniel si scopre di colpo e la afferra, iniziando poi una lotta di solletico che, ovviamente, lascia me come unico sconfitto.

Basta.

Mi alzo con un borbottio contrariato e scappo fuori a caccia di aria nuova, lasciando le loro risate alle mie spalle.

Le note del caffè mi accolgono e, come un avventuriero in un deserto alla ricerca di un oasi fresca, lascio che le gambe arrivino fino alla cucina.
Mi siedo con un sospiro esagerato, ottenendo così un'occhiata da parte di Rochelle.

DestinoWhere stories live. Discover now