<94> Frederick.

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Tutto mi sarei aspettato, lo giuro.
Dire però che le parole di Daniel mi abbiano sconvolto, suonerebbe come una bugia.
Ammetto di desiderare il contrario, di vederlo aprire bocca e pronunciare altre frasi, la tensione smorzata da una battuta o una risata assieme.
Inutile.
Sarebbe al pari di credere a tutti i costi di vedere il cielo rosso anziché azzurro; non potrà mai diventarlo, per quanto lo vogliamo.

Lo immaginavo.
Lui non si vedeva, cieco dietro al suo ostinato sorriso.
Ho pensato: saranno i problemi con il padre, niente di diverso dagli altri anni.
Conoscere Daniel nel suo momento peggiore me l'ha fatto comprendere internamente. Quella sua parte l'ho vista solo io.
Il suo dolore tenuto tra le mie mani, cercando di chiuderlo nelle dita e non lasciarlo respirare dalle fessure.
In questi ultimi mesi non era il suo passato a tormentarlo, ma il presente che, giorno dopo giorno, tentava di risalire a bussare alla sua porta.
Battenti che abbiamo tentato di richiudere con la stessa forza.
Assecondarlo è stato vile così come spronarlo nella mia direzione, nascondendomi dietro il suo stesso specchio.

Un gesto meschino persino per uno come me.

Il vetro alla fine si è crepato spargendosi in ogni angolo; impossibile da tenere in piedi senza ferirsi.
Attende, lo sguardo su di me, il timore in fondo agli occhi quasi lucidi.
Ci siamo picchiati, gridati le parole più crudeli, allontanati. Tuttavia, nessuno dei due può fare a meno dell'altro.
Sono la sua parte di libertà, quello a cui ricorre quando ha bisogno di staccare la spina e svuotare la mente.
Ognuno di noi necessita di una presenza del genere.
Davide, Alessio e Daniel sono le mie.
Io sono il suo.

Sciolgo la presa delle braccia e le lascio penzolare lungo i fianchi.
Daniel è mio amico.
Daniel è stato il primo a vedere oltre, a supportarmi e a comprendermi.
Come posso categoricamente rifiutarmi di capirlo? Glielo devo.
Storcerò il naso, ma cavolo, resta pur sempre il mio amico, no? L'importante è convincersene.
Quanto tempo è passato? Forse neppure due minuti.
Devono essersi trasformati in ore nella sua testa.
Lascio andare il respiro.
Forse, inconsciamente, ho preparato questo discorso da anni, rielaborandolo nella mia testa.
O magari no, seguirò ciò che mi detta il cuore.

«Daniel...» esordisco, schiarendomi la gola. «Non importa, sul serio. Lo sai, mi tengo lontano da quel genere di cose però... amico, sei tu» dico indicandolo con entrambe le mani.
Lui stringe le palpebre e deglutisce.
Certo, ha bisogno di una spiegazione più approfondita.
Sbuffo piano e mi passo una mano sul viso, arrivando con le dita alla catenina attorno al collo.

«Diamine, Dani, non farmi essere sentimentale. Mi sta bene perché sei tu e non potrei perderti ancora, ok? Sarò disposto a supportarti e a spronarti, potrai persino chiedere un mio consiglio, per quanto uno come me possa fornirtene in merito a questa tua scelta. Purché non mi racconti i dettagli più minuziosi, quelli tienili per te» asserisco con una smorfia.

Si morde il labbro inferiore, lo osservo abbassare le spalle e lasciare andare il respiro.
Deve aver battuto ogni record di apnea degli ultimi dieci anni.
«Non lo dici tanto per dire?» mormora, gli trema la voce.

Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo e rispondere con una battuta scocciata.
È un argomento delicato per lui.
«No, non lo dico per dire ma, se continui di questo passo, potrei sempre ripensarci» borbotto rude, per poi sorridere.
Alla fine non ho resistito alla battuta.

Inizia a ridere, una risata liberatoria e si asciuga con la punta del pollice una lacrima scesa sulla guancia.
Mi passa un braccio attorno al collo, stringendomi. Non parla, basta il semplice gesto di questa presa forte e decisa.
Probabilmente ha trascorso molti momenti ad arrovellarsi la mente.
Ero un peso per lui? No, forse più un timore trasformato in speranza.
Gli batto un paio di pacche sulla schiena.

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