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Trattengo il fiato e mi concentro. Fisso le carte con estrema attenzione.
Posso farcela, posso farcela.
Un mantra che dovrebbe servire a darmi carica, invece ottiene l'effetto contrario.
Perdo l'attimo e le mani sono già sul mazzo al centro, guizzano con una tale velocità che non riesco a stargli dietro.
Risate felici e anche un pelo di derisione, e io sbuffo.

«Damien, non sei proprio capace» mi apostrofa Dave con un ghigno, agitando la lattina di birra.

Stringo la mascella e abbasso gli occhi sulla medesima lattina posta al centro delle mie gambe incrociate.
È quasi finita e presto dovrò aprirne una nuova.
Come sono riuscito a farmi convincere? Come ho potuto non oppormi alla regola del: chi perde, beve?
Facile. È stato Daniel a dare l'idea, quindi il festeggiato decide. La sua parola incontestabile contro la mia decisamente più flebile.

Inizio a odiare questa formula.

Il gioco è semplice: quando capita la carta giusta in un passa passa generale, si corre con la mano sul mazzo al centro esclamando "Carta."
Semplice un corno.
I miei riflessi sono davvero pessimi, non collego ciò che ho in mano con la mente e reagisco in ritardo.
Persino Roberta, con le sue braccia corte, riesce a battere le mie scadenti tempistiche.
Daniel mi scocca un sorriso sornione, gli brillano gli occhi e ammicca. Ho il sospetto che abbia scelto questo gioco apposta, forse per indurmi a bere. Conosce le mie scarse abilità nel gioco, e l'alcool, si sa, rende le persone più disinibite.
A mio parere le rende solo più stupide e imprudenti, ma a ognuno la sua visione.
In questo momento vorrei essere capace di contare le carte, proprio come quei prodigi visti nei film d'azione, e non avrei affatto problemi morali nel barare.

La musica ci gira attorno, il fuoco poco lontano riflette la sua luce sui nostri volti.
Porto l'attenzione su Amelia di fronte a me. Non ha bevuto neppure un goccio di birra perché è sempre la prima ad arrivare.
Abbasso lo sguardo sulle sue labbra socchiuse, il rosso è reso ancora più carnoso e acceso dal riflesso del falò.
Stupenda.
Un fiore fresco e gentile, una rosa senza le spine.
Daniel batte le mani e riporta così la mia concentrazione su di lui.

«Nuovo gioco: verità o menzogna» spiega, la bocca piegata in un sorriso esagerato.

Socchiudo le palpebre. Lo avrà inventato adesso?
Jason ride e annuisce partecipe, quindi no, a quanto pare non è un'invenzione dell'ultimo secondo.
Cavolo, non conosco nulla. Sarà che, le volte in cui i compagni di scuola si riunivano per cose simili, io non partecipavo.
Dovrò recuperare, ma già il nome preannuncia qualcosa di spaventoso.

«Ognuno di noi inizierà il racconto con la frase "una volta", e quindi aggiungerà un episodio, accaduto o puramente inventato. Starà agli altri capire se sia vero o falso e, chi sbaglia, beve. La punizione non cambia» spiega, fissandomi con insistenza.

«Guarda che le capisco le regole, perché guardi solo me?» rispondo con un ringhio alla sua accusa non espressa.
Lui sorride e mi batte una mano sulla gamba, poi la carezza accondiscendente.

«Scusa, Dami, di solito non sei per niente perspicace, figurarsi con una lattina di birra in corpo» scherza e io gli faccio il verso.
In realtà è vero, e non ho ben compreso le meccaniche confuse. Mi basterà ascoltare il resto di noi per imparare.
Jason cambia posizione delle gambe e si schiarisce la gola assumendo un'espressione neutra.

«Una volta, quand'ero più giovane, persi una scommessa. Non rammento esattamente cosa fosse, ricordo soltanto che, per punizione, dovetti masticare cinque fogli, facendoli entrare completamente nella bocca e senza sputarne neppure un pezzo» spiega il suo ricordo, talvolta gesticola con una mano.
Corrugo la fronte. I racconti degli episodi di scuola di mio fratello sono sempre così esagerati che potrebbe benissimo trattarsi della realtà.

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