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La scuola sembra così grande, più grande del normale, un gigante deciso a innalzarsi fino al cielo. Stringo il manico delle stampelle tra le dita fredde, indeciso se rinunciare alla vicinanza con l'auto di mio fratello.
Questo è un posto sicuro, non certo come quello in cui andrò a infilarmi, e la mia lotta interna tra il muoversi e il rimanere fermo sta per trovare il suo vincitore.
Inghiotto aria, saliva e, forse, un bel pezzo del mio coraggio.
Oggi Daniel ha accompagnato sua sorella a scuola per assicurarsi che giungesse sana e salva in classe, quindi non posso contare su di lui; Amelia, invece, aveva alcune faccende da sbrigare assieme a sua madre e non è uscita nel mio stesso momento.

Sono solo.
Solo contro la moltitudine di sguardi.

Posso farcela.
Posso farcela?
Sono cambiato, è vero, ma per quanto riuscirò a sopportare il fuoco dei loro occhi sulla mia pelle, prima di fuggire via, accompagnato dalla mia codardia?

«Damien?» dice Jason abbassando il finestrino dal mio lato, il sibilo prodotto somiglia tanto a un serpente pronto a mordermi.

«Scusa, mi sistemavo una scarpa. C'erano un paio di foglie incastrate» mento pur di non fargli capire quanto sono terrorizzato all'idea di mettere piede a scuola, di quanto desideri che lui, in preda a un impeto di chissà quale genere, mi proponga una gita fuori porta, i due fratelli verso l'orizzonte.
Non accadrà, inutile immaginarlo.
Sorrido, mi stacco dalla carrozzeria come un francobollo senza più la sua colla, e sollevo una mano tremante per salutarlo. Jason non sembra notare quel dettaglio accentuato dalla mia angoscia crescente. Difatti tremo in ogni istante a causa della mia patologia, e questa è semplice normalità.

«Buona scuola, Dami. Mi raccomando, aspettami seduto sulle panchine. Non ti affaticare» si raccomanda con l'ultima occhiata preoccupata, poi chiude il finestrino, imbocca la strada poco trafficata e sfreccia verso il lavoro.

Eccomi qui, solo ancora una volta.
Scuoto la testa e mi mordicchio il labbro inferiore, in seguito annuisco.
Forza, dimostra a tutti che puoi farcela, che le persone e i loro giudizi non ti spaventano, che riuscirai a farteli scivolare addosso.
Sono cambiato.
Cavolo, è incredibile quante volte debba ripetermelo, come se non ci credessi veramente.
Avanzo incerto, lo sguardo puntato sui cancelli di ferro, la pressione del bordo duro delle stampelle a sfregare il maglione.

Se non li guardi, non esistono.

«Ehi, Damien.» Quella voce improvvisa mi fa sussultare.

Muovo gli occhi e poso l'attenzione su di un ragazzo già visto... o almeno credo.
Quand'ero impegnato a mantenere la maschera prestavo poca attenzione alla fisionomia degli altri; l'importante era tirare su la bocca e annuire, il resto passava in secondo piano.
Lo scruto con attenzione, forse un nome velato mi salta alla memoria, qualcosa che inizia con la F, ma per non fare brutta figura preferisco salutarlo con un cenno del capo.
Sarà lui il primo a prendersi gioco di me?

«Amico, tutto bene?» si avvicina e mostra una faccia incuriosita e preoccupata allo stesso tempo.

Tiro un sospiro di sollievo mentale, tuttavia mi impongo di non sciogliermi e abbassare lo scudo. Non sarà lui ad aver lanciato la prima pietra, ma dentro si annidano belve intente a pregustare l'arrivo della preda preferita.

«Sì, sì. Tutto ok» sminuisco il problema stringendomi nelle spalle. «Grazie per averlo chiesto» aggiungo, abbozzando un sorriso.

Mi mena una pacca bonaria sulla schiena e si allontana, sorpassandomi a gran velocità.
È andata bene.
Sono certo che non sarò così fortunato, una volta immerso nei corridoi affollati.
Arranco fino alle porte della scuola. Ho le mani fredde e mi sento agitato.
Sollevo lo sguardo e passo in rassegna la moltitudine di gradini per arrivare ai piani superiori.
L'avevo messo in conto. Mi basterà aggrapparmi alla ringhiera e il gioco è fatto.

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