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Seguo i movimenti delle mani della nonna, la osservo avvolgermi la caviglia con dei giri di bende fresche e bianche per poi stringerla con decisione.
È doloroso, ma superabile. Non è nulla in confronto agli esami effettuati in ospedale, quando dovettero accertarsi se fossi davvero affetto dalla mia patologia.

Quelli sì che metterebbero a dura prova chiunque.

Prima di lasciarmi salire al piano di sopra, Emily ha voluto aiutarmi con la gamba, offrendosi lei stessa di fare la medicazione.
Non è stato facile convincermi: ci è voluto l'appoggio di Daniel per costringermi a sedere su questa sedia.

Ho bisogno di Amelia; il mio unico pensiero da quando ho rimesso piede nella struttura.

Carezzo con lo sguardo i lineamenti delicati della nonna. Lei possiede tante sfumature di mio padre, un concentrato di colori amati e malinconici.
Avere i nonni accanto è come avere accanto lui: una mano conosciuta sulla spalla; una presenza invisibile, ma concreta.

«Grazie» le dico assistendo al suo sorriso dolce e contagioso.

«Fortuna che c'era Rick» borbotta Daniel seduto accanto a me mentre sorseggia con la cannuccia un succo all'arancia, ne inspiro le note aspre e decise.
È il suo frutto preferito, e devo ammettere che non ha tutti i torti a crederlo uno dei migliori, soprattutto quando la polpa si rivela di un amabile rosso intenso, quasi porpora.

«Suvvia, Daniel, si è trattata di una semplice slogatura» dice Emily, e richiude con uno scatto deciso il cofanetto contenente i medicinali e altri strumenti, ammiccando nella mia direzione.
Ricambio l'occhiata con un sorriso complice.

Mi dispiace, amico mio, ma almeno lei è dalla mia parte.

Daniel corruga la fronte. «Nonna, sei troppo buona» commenta e scuote il capo, bevendo velocemente gli ultimi sorsi contenuti nel bicchiere.
Lo guardo e passo le dita sul bordo del contenitore.

«Sto male, tanto male, e non mi hai neppure portato un succo» lo punzecchio con voce lamentosa, mantenendo un finto cipiglio arrabbiato.

Piega le labbra in una smorfia, trattenendo con grande fatica il sorriso. «A quanto pare puoi cavartela da solo, no? Saltella fino alla cucina, coniglio» dice e muove la mano in avanti, imitando il gesto dell'animale in questione.
Non resisto e scoppio a ridere, ascoltandolo fare altrettanto.

Mi stavo davvero ponendo dei problemi sullo stare con il mio migliore amico? Daniel non è cambiato affatto e non lo farà mai.
L'affinità; le battute; la premura. Tutte cose che non si cancellano dal foglio con una passata di gomma.
Sono io quello che deve abituarsi al minimo cambiamento, permettendo alle piccole differenze di entrare nella mia vita e impreziosire la superficie stabilita.

«Sono serio. Vai a prendermi un succo» ordino dondolando il piede sano, incastrandolo dietro la gamba della sedia.
Una posa sbagliata per la schiena, me l'hanno detto in molti, però si tratta di un gesto istintivo. Potrei toglierlo da lì, eppure, senza accorgermene, tornerebbe in quel punto dopo qualche minuto. Tanto vale lasciarlo e non fare la fatica di spostarlo.

«Va bene», sbuffa e si alza, «ma sia ben chiaro: non sarò il tuo schiavo per i prossimi giorni» dice indicandomi con l'indice puntato e un'espressione minacciosa.
Sogghigno annuendo e sollevo una mano, intreccio l'indice e il medio con fare dispettoso e annullo così ogni mia promessa.
Sa bene che alla fine gli toccherà stare alle mie regole; Daniel non resiste alle mie suppliche.
Sbuffa ancora e si allontana, lasciandomi da solo con la nonna.
Lei sorride soddisfatta e si abbandona contro la spalliera della poltroncina.

«Mi piace proprio quel ragazzo. Ha un cuore generoso» commenta guardandomi e io ricambio l'occhiata, tirando in su le labbra.
La sua affermazione mi riempie di orgoglio. In questi giorni i nonni hanno avuto modo di conoscerlo meglio, esprimendosi favorevoli sul suo conto. Si sono spesso intrattenuti in chiacchiere anche fino a sera inoltrata, trattandolo al pari di un componente della famiglia, come me e Jason.

DestinoWhere stories live. Discover now