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Ho la bocca completamente asciutta. Un rivolo di sudore mi cola lungo la schiena, sebbene non faccia per niente caldo. Ci siamo spostati più in alto, quasi a un passo dalle porte che danno sul tetto della scuola.
Sono agitato, e l'espressione seria e attenta di Daniel non fa altro che aumentare i miei battiti. Diamine, non ho idea di come reagirà a questa notizia.
In passato, tutte le volte in cui ho provato ad affrontare il discorso sulla sua famiglia, lui è stato evasivo fino ad arrivare ad arrabbiarsi in modo aggressivo.

Devo stare calmo; è la soluzione migliore.

Il rimanere a bordo campo e vederlo distruggersi non rientra nella mia visione. A costo di trascinarlo io stesso, lo porterò fuori da quella casa.
Ogni secondo trascorso mi ha solo fatto sprecare occasioni e ritardare questo momento. Le ingiustizie, però, non si sono fermate con me, e hanno continuato ad abbattersi su Daniel.
Forse, inconsciamente, stavo fuggendo dalle mie responsabilità, e quale sciocco errore il mio, uno pieno di egoismo.
È stato un po' come quando si deve fare una commissione scomoda. La si guarda e si dice: "Ho ancora qualche ora, la farò dopo", e poi passano i giorni e diventa troppo tardi.

Daniel non ha più tempo e io voglio scacciare via la mia codardia e comportarmi proprio come un componente della sua famiglia.
Spetta a me salvarlo.

Deglutisco. «Daniel, prometti che, qualunque cosa io dica, cercherai di restare calmo e di assimilare prima le mie parole» esordisco con una punta di tremore.
Dannazione, dovrei mostrarmi forte e la mia stupida voce mi tradisce.
Mi schiarisco la gola mentre lo vedo socchiudere le palpebre, confuso.
In un attimo, una convinzione sembra brillare nel suo sguardo e un lampo di paura colpisce quello specchio verde.

«Si è aggravata la tua situazione? Stai male?» si informa afferrandomi le braccia con le mani.
Stringe forte.
È alla ricerca di un indizio, anche solo uno per avvalorare la sua tesi.
Accenno un sorriso. Lo so, non è il caso, ma il fatto che Daniel abbia subito pensato a me fa vibrare il mio animo.
È sempre così: pone gli altri prima di se stesso.

Scuoto la testa. «No, tranquillo. Con la malattia tutto bene, non devi temere» rispondo rassicurandolo.

Abbassa le spalle tese e sorride a sua volta. «Scusa se ti ho interrotto. Cavolo, ho agito tutto il contrario di ciò che mi avevi appena detto» ride, sebbene non si sia completamente rilassato.

«È vero, quindi, adesso fai il bravo» lo ammonisco e lui si mette una mano sul cuore e alza quella libera in una posa da giuramento.

«Promesso.»

Va bene, questo breve stacco mi ha fornito la possibilità di sciogliere la tensione. Prendo un bel respiro e lo lascio andare piano. «In questi anni non ti ho mai parlato dei miei parenti. Si trattava di un argomento doloroso e, per qualche verso, lo è ancora.» Abbasso lo sguardo al pensiero di mia madre.
Quello è un altro argomento di cui sento il bisogno di parlare con Daniel.
Non adesso.

«La madre di Jessica è un avvocato, però, quand'ero piccolo si sono trasferiti e ho perso i contatti per un bel po' di tempo, come ben saprai. Tornarono in America, dalle parti in cui mio zio abitava da bambino, e non ero certo che mia zia avesse proseguito con il suo lavoro» aggiungo e sento Daniel prendere fiato e annuire tra sé e sé.

«Mi sono sempre chiesto il motivo dei nomi della tua famiglia. Cioè, non sono comuni da queste parti, e vengono da lì, giusto?» commenta aggrottando le sopracciglia.

Mi ha interrotto per la seconda volta.

«Sì, i miei nonni da parte di padre sono originari dell'America, mentre da parte di mia madre vengono dalla Francia. Lei ha sempre trovato i nomi stranieri affascinanti e per questo ha deciso di chiamarci in questo modo» spiego con pazienza.

DestinoWhere stories live. Discover now