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I giorni si susseguono in un moto circolare.
Sveglia presto, colazione, scuola, compiti e, finalmente, il momento di andare a dormire.
Fisso il soffitto della mia stanza, i fari delle auto che passano vi si riflettono con luci orizzontali, uno sprazzo improvviso e poi via, nel nulla.
Sospiro e sfioro la frangia sulla fronte di Amelia, la sua testa posata nell'incavo del mio braccio e le dita della mano libera strette nelle mie.

Se non ci fosse stata lei, sarebbe stato davvero difficile continuare a restare lucido.
Mi ha tenuto saldo anche quando tutto si è incrinato, quando il ponte della mia nave si è riempito di fori cominciando a imbarcare acqua.

Sarei colato a picco.

Eppure sono qui, con il dolore nel petto che tuttavia non riesce a inglobarmi completamente, come invece accadde dopo la morte di mio padre.
Dopotutto, continuo a ripetermi che il petto di Daniel si alza e si abbassa; non è totalmente fermo.
Una magra consolazione, visto che mio fratello non è con noi ma in un letto d'ospedale.
Novembre è finito e dicembre si è affacciato da qualche giorno, e tra una settimana inizieranno le vacanze di Natale.

A Daniel sarebbe di certo piaciuto festeggiarlo assieme a noi, finalmente libero dal suo buio. Non stava più nella pelle all'idea di addobbare l'albero e riunirci sotto di esso per scambiare i doni.
Lo ammetto, sarebbe stata un'emozione anche per me. Negli ultimi tempi avevo bandito le nostre vecchie tradizioni troppo vicine alla mia famiglia, ma in un anno ricco di novità come questo ero in attesa del momento quanto lui.

Chiudo le palpebre e mi impedisco di piangere. Non pensavo fosse così semplice tornare a svuotare tutte le lacrime presenti nel mio corpo.
Avevo perso questa abitudine arrivando persino a credere si potesse versare lacrime solo per i fatti belli, quelli capaci di smuovere il mio interno dalla felicità.
Mi sbagliavo.

Silenzio. E così difficile da accettare. Daniel portava sempre rumore; persino poco prima di andare a dormire si udiva ancora la sua voce.
Amelia si muove leggera e porta le gambe dall'altro lato del letto con la chiara intenzione di volersi alzare.
Le afferro veloce il polso, un gesto istintivo e quasi disperato.
Deglutisco e lascio scivolare le dita sul materasso, imbarazzato dal mio comportamento.

«Dove vai?» sussurro vedendola sorridermi dolcemente.

Non dà peso ai miei scatti, sia fisici che umorali.
Sono diventato una mina vagante e, la maggior parte delle volte, tendo a perdermi nell'angoscia di essere lasciato solo da un momento all'altro.
Una paura che viene dall'interno, impossibile tenerla a bada.

«Dico a Jason che mi fermerò per cena», spiega stampandomi un bacio sulla fronte, «torno subito» aggiunge per rassicurarmi.

Trattengo il respiro e, quando la vedo uscire, il cuore prende a battere frenetico.
Tornerà o farà la stessa fine di Daniel?
Non sono più sicuro di niente.
Getto un'occhiata all'orologio di legno e seguo il lento percorso delle lancette. È tardi per andare a trovarlo, per dirgli che non ci siamo dimenticati di lui ma che lo stiamo aspettando.
Prendo il telefono tra le dita e digito un messaggio. Lo invio al numero del mio amico.

-Quand'eri lontano, ti pensavamo spesso. Ricordalo e sorridi. Il peggio è passato.-

Dal momento in cui Jason mi ha suggerito di parlare con uno psicologo per non cadere negli stessi errori del passato, ho accettato il consiglio datomi dall'uomo di utilizzare comportamenti capaci di donarmi serenità.
Il primo passo è stato quello di realizzare che Daniel tornerà e non dormirà per sempre.
Quindi, appena ne sento il bisogno, gli mando un messaggio e penso al futuro assieme e all'istante in cui li leggeremo, ridendo dei vecchi momenti tristi.
Avrò intasato la sua casella, probabilmente la maggior parte andrà persa, eppure non importa.

DestinoWhere stories live. Discover now