<Extra> Daniel.

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Inspiro una buona boccata d'aria, il sole tiepido sulla pelle fredda del mio volto è un vero toccasana.
Distendo le gambe, le stiracchio e chiudo le palpebre, beandomi delle chiacchiere sparse nel parco.
Talvolta mi piace assaporare attimi di silenzio per me stesso recandomi nei luoghi immersi nella natura. Sorrido tra me e me.
La causa di questo rinnovato amore per il verde è da attribuirsi a Nathan e alla sua passione.
Infatti, spesso ce ne andiamo nei giardini anche solo per stare sdraiati all'ombra delle fronde, la carezza del prato sotto la schiena e i nostri respiri all'unisono, mano nella mano.
Non a caso il mio posto preferito è sempre stato la vasta distesa di fiori, alberi secolari in una tela perfetta.

Sospiro.
Non ci sono più tornato da quando si è trasformata nella scena del mio terribile incidente.

È vero, davanti agli altri ho minimizzato l'evento come al mio solito, tuttavia, dentro il mio cuore esiste ancora quella crepa e rivivere gli attimi in prima persona peggiorerebbe solo il mio umore, nonché richiamare vecchi fantasmi di un Daniel ormai passato.
Infilo le mani in tasca e lascio che sia il sole a baciarmi il viso, le foglie degli alberi mosse da un vento gentile si riflettono nel buio dietro le palpebre chiuse, lasciando a tratti la luce per poi tornare ombra.

Giochi di luce a rincorrersi.
Il canto di un uccello in lontananza, i passi di qualcuno che va via, altri che arrivano.
Cavolo, sono diventato proprio riflessivo.
O forse no, mi godo semplicemente degli attimi di calma quando non sono in sella alla mia moto.
La velocità mi si è cucita addosso come un secondo vestito sotto tutti gli strati di pelle e muscoli.
E l'adoro.

Non è che un secondo, non faccio neppure in tempo a reagire all'improvvisa oscurità su di me, solo un sussulto prima di udire quella parola.

«Daniel.»

Addio salivazione, sei stata ridotta a zero.
Un fremito e apro le palpebre, colmo le mie iridi con quella figura che tanto ha invaso le mie giornate e notti, affacciandosi nei miei incubi.
È stato così imprevisto che la mia mente ha cancellato d'un tratto le minacce un tempo pronunciate dalla mia bocca, assieme al rancore e il copione studiato per un suo ritorno.

Dannazione.

«Jack.»

Rispondo, quattro lettere orribili.
Cosa mi aspettavo? Che se ne sarebbe rimasto dentro per sempre?
Impossibile, non c'era un'accusa così forte e, la legge, è stata creata da idioti che ormai non vogliono tenere più nessuno al fresco, fornendo la libertà vigilata a destra e a manca.
Non si muove: guarda, nient'altro.
La sua rabbia è nascosta, me lo sento. Deve essere così, altrimenti non riuscirei proprio a spiegare la sua espressione quasi affranta, quella di un comune essere umano, e non del mostro che è in realtà.

Sbuffa e alterna il peso da una gamba all'altra.
Secondi preziosi per il mio autocontrollo.
Mi rizzo meglio a sedere e sento la mia bocca distendersi in una smorfia sprezzante. Finalmente, ecco che affiora l'odio messo da parte; pensavo si fosse andato a nascondere da qualche parte e non avesse voglia di combattere al mio fianco.

«Possiamo scambiare una chiacchiera?» chiede.
Semplice, niente di ordinato.
E dannato me che non riesco a rispondere subito di no. Faccio scena muta; un ragazzino davanti a suo padre, lo stesso padre che non vedeva ormai da sette anni.

«No» rantolo troppo tardi e stringo le dita dentro le tasche, un supporto di cui ho bisogno, una vana speranza di stare fermo.
Mi sento combattuto tra la voglia di prenderlo a pugni fino a non vederlo respirare, e invece restare fermo o, quantomeno, allontanarmi mantenendo la mia integrità.
Sì, perché il Daniel rabbioso non c'è più da tanto, e non sarà questo il momento di tirarlo fuori.

DestinoWhere stories live. Discover now