-90- A metà.

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Premessa: questo capitolo è diviso e ogni interruzione cambia inquadratura e presenta un diverso personaggo (per poi tornare al primo, e così via) <3

***


Viaggiare.
Un'azione così semplice: guardare attraverso il finestrino, riconoscere i luoghi e riportare alla mente dei semplici particolari, sentimenti conosciuti e piacevoli.
A volte basta poco per emozionarsi nel rivivere le immagini passate, momenti trascorsi quando si era ancora piccoli, quando il mondo sembrava troppo grande da esplorare, e allora lo creavi nella tua testa seguendo il ritmo della fantasia.

Sospiro e stringo la stoffa dei calzoni tra le dita.
Sono già stato in questo posto: i miei giovani piedi ne hanno attraversato i viali nelle giornate estive alla ricerca di un modo per combattere la calura.
Sebbene l'immagine sia in parte sbiadita, posso percepirne il sapore sulla lingua, e sa di gelato alla menta.
Il tintinnio di un bracciale al polso distrae la mia attenzione dai pensieri. Da che ne ho memoria, Jason lo ha sempre indossato, e in ogni situazione questo preciso suono mi riporta con la mente a lui.
Sollevo quasi con timore lo sguardo sul suo volto, ritrovando due occhi attenti e concentrati, la mascella contratta talmente tanto da mostrarsi sporgente attraverso la pelle.

La rabbia.
Una condizione legittima, ma spaventosa.
Per fortuna, mio fratello è riuscito a tenerla a bada non appena è scoppiata la bomba. Per quanto fosse presente e palese nel suo comportamento, le ha messo un guinzaglio e se la sta portando dietro, forse per usarla più tardi, quando ce ne sarà davvero bisogno.

Torno a guardare fuori.
Mi fa male la testa, un martello che pigia continuamente in un solo punto e manda scosse nelle tempie.
Dal mio telefono si solleva la suoneria, eppure non mi affanno per controllare il messaggio.
Lo lascio lì, parole in sospeso.

Osservo con sguardo neutro la figura lontana di una bancarella di gelati, il tendone si muove sfiorato dal vento, qualcuno ha già in mano una coppetta di carta e mangia con gusto quella prelibata dolcezza.
Ora che ci penso bene, venivo spesso qui proprio con mio padre. Camminavamo lungo questo esatto vialone alberato e sedevamo sulle panchine a scorgere gli sprazzi di cielo tra le fronde verdi, seguendo la corsa delle nuvole.

Sorrido e sospiro cercando di imitare quegli stessi gesti, gli occhi tra le foglie, la gioia mista a nostalgia a carezzare la mia anima.
Non è uguale se non ci sei tu.
Ma è come se fossi presente, giusto?

Jason ferma la macchina nei pressi di un'abitazione e io la fisso con una sorta di timore e agitazione.

«Mi raccomando, lascia parlare me» dice, le parole accompagnate dal rumore della portiera.
Il suo tono è così serio, quasi severo.
Le mie rivelazioni devono averlo sconvolto parecchio; non l'ho mai visto in questo stato.
Annuisco e imito i suoi movimenti, lasciando a fatica il mio posto.

Questo ruolo da combattente è nuovo, un vestito stonato su un corpo che lo rifiuta.

Ingoio e fisso il cancello aperto, il giardino curato si mostra in perfette condizioni. Di sicuro, qualcuno lo sistemerà per loro, una persona esperta e competente.
La mia attenzione viene catturata dalla figura di una ragazza, il corpo adagiato su una coperta morbida tra gli steli verdi. Si bea del calore prodotto dai primi raggi di sole, sintomo dell'estate imminente.
Jason schiaccia il pulsante del citofono, però, non udiamo alcun suono.

«Vi serve qualcosa?» dice la ragazza notando la nostra presenza, solleva gli occhiali scuri e mostra le iridi del medesimo colore della chioma scura.
Abbozzo un sorriso tirato.

«Sono un compagno di classe di Freddie. Vorrei parlare con sua madre» spiego, imponendo alla mia voce di tirare dritto, riuscendoci almeno in parte.
Una mezza vittoria.

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