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Solita routine.
Laccio emostatico al braccio; ago nella vena; flebo che dondola in alto; chiacchiere di fatti più o meno terribili.
Tutto nella norma: una giornata tipica nel Day Hospital.
Mi poggio con la testa all'imbottitura della sedia, la radiolina tenuta bassa regala musica per nulla nelle mie corde.
Sospiro tra me e me. Non mi trovo ancora a mio agio nell'unirmi alle parole di questi sconosciuti; non sono capace di raccontare le mie battaglie personali.
Fingo come al solito di avere sonno e chiudo le palpebre, abbandonandomi completamente alla melodia di sottofondo emanata dalle cuffiette ben pigiate nelle orecchie.
Pianoforte e violini. Il massimo del mio relax.

Un colpo al mio braccio disteso sul bracciolo mi fa volgere d'istinto in quella direzione, e mi ritrovo a specchiarmi negli occhi azzurri di una ragazzina.
Avrà sì e no dodici anni, con tutti i suoi riccioli mori e i fori tra i denti che devono ancora ricrescere.
Così piccola, così terribile il suo scontro con questa dura patologia.
Non la augurerei a nessuno, eppure è qualcosa in costante ascesa.
Sorrido e lei fa lo stesso.
Mai smettere di lottare, giusto?

Scruta con un misto di spavento e timore l'infermiera che si aggira nella sala. Mi schiarisco la gola e stacco una delle cuffiette all'orecchio.

«Se hai paura puoi tenere la mia mano» le propongo, non sapendo bene come approcciarmi a una ragazzina così giovane.
Mi limito a far scivolare il braccio nella sua direzione e subito percepisco il calore delle sue dita attorno alle mie.

«Non concentrarti su cosa sta accadendo», dico, scambiando uno sguardo complice con l'infermiera, «pensa a qualcosa di positivo e, quando sarà finito, non ti sarai accorta di nulla» aggiungo per mantenere la sua attenzione impegnata su di me.
Le chiedo il suo nome e mi presento a mia volta, le parole scivolano fuori con grande naturalezza. Strano, ero convinto che sarebbe stato più complicato parlare a qualcuno di sconosciuto. Dopotutto, ho sempre mantenuto un atteggiamento scostante in questi ultimi anni e si tratta di una grande novità.
Me la sto cavando alla grande, tutto sommato.
Certo, lei è molto più solare di me, cambia argomenti di continuo e fatico a starle dietro, ma è un grande passo avanti.

«Ciao, alla prossima» mi saluta vedendomi alzare dalla poltroncina, il batuffolo di garza premuto contro la pelle per evitare la formazione del livido.
Rammento le prime volte in cui me ne fregavo di questo semplice dettaglio e, alla fine, sembrava come se qualcuno avesse ripetutamente colpito un solo punto, espandendo un livido lungo quattro centimetri e largo tre.
Adesso, invece, ciò che resta della terapia è una piccola macchiolina sbiadita.

«Alla prossima» saluto a mia volta la ragazzina con un sorriso e, giusto per pura cortesia, muovo un cenno verso gli altri.
Fisso l'orologio attorno al mio polso.
Le dieci e venti.
Jason è al lavoro e i miei amici sono a scuola, quindi potrei rilassarmi e dedicare una giornata a me e ai miei passatempi. Be', non sono poi molti, oltre a disegnare, ascoltare musica e leggere.
Cammino per le strade e inspiro un po' d'aria. Percepisco dei lievi sapori caldi, odori nostalgici e mai dimenticati.

Questo tempo mi ricorda te, papà: i nostri giorni trascorsi assieme e la nostra libertà, lontani dagli obblighi.
Quanti ricordi nei vicoli della città, quante risate e momenti di pura felicità.
Ecco, devo soffermarmi sulla gioia e non sul dolore provocato dai pensieri. È importante soltanto la nostalgia buona capace di riempire il cuore.
Lo so, è difficile, però posso farcela.
Cammino e sono i piedi a portarmi avanti. Seguono il ritmo dei miei desideri, li scandiscono con un fruscio lento e delicato.
Dopo un po' sollevo lo sguardo e lo poso su di un cancello aperto in lontananza. Spicca in mezzo ad alte mura di mattonato e le fronde degli alberi slanciati ricoprono l'ambiente con un manto d'ombra.

Un dolore nello stomaco mi impedisce quasi di respirare.
No, non sono pronto a compiere quel passo.
Scusa, papà, verrò a trovarti un giorno, te lo giuro.
Sono ancora troppo debole.
In tutti questi anni racimolare il coraggio di avvicinarmi era impensabile. Ho evitato questo luogo, ho girato al largo e finto non esistesse se non nella mia mente e nella mia anima.
Sapevo dov'eri, sapevo che mio fratello veniva da te ogni settimana, eppure non mi sono mai aggregato.

DestinoWhere stories live. Discover now