<76> Isaac.

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Mi muovo sul letto e giro il corpo dal lato del comodino.
Sfioro la cornice di una foto, accarezzo i lineamenti sorridenti di Nathan e sorrido a mia volta.
Dove siamo finiti? Dove hai nascosto quel tuo meraviglioso sguardo?
Passo un braccio sulle palpebre e lo lascio lì.
Non ho voglia di andare a scuola né di alzarmi dal letto.

Afferro il cellulare e lo osservo accendersi, il suo sorriso brilla persino sullo sfondo.
«Sei bellissimo» sussurro, indugiando su quegli occhi grandi e colmi di profondità. Un lago in cui rifugiarmi, una pozza d'acqua solo mia.

-Nat, stai andando a scuola?- digito veloce e rimango in attesa.

Due minuti.
Cosa sta facendo? Come mai non risponde?
Stringo la mascella e storco la bocca.
-Allora?- lo incalzo.

Sta scrivendo e ci mette un'eternità. È così difficile mandare un sì o un no?
A quanto pare lo è.

-Sì, mi sto preparando. Tu, invece?-

E se fingessi di stare male?
Nathan crea sempre un grande polverone quando decido di restare a casa. Mi dà dello scansafatiche, e un po' ha ragione, ma quale ragazzo della nostra età ha voglia di perdere tempo a scuola?

-Ci sto pensando.-

Ho optato per una via di mezzo; un "forse" è meglio di niente.

-Se vieni, ci vediamo lì.-

Rimango a fissare lo schermo fino a quando la luce non mi disturba troppo, costringendomi a distogliere lo sguardo.
Mi sollevo con uno sbuffo esagerato.
Perfetto, ha trovato un modo per farmi alzare da questo dannato letto. E poi, in seguito a questa sua risposta di merda, ci sarei andato comunque per capire cosa c'è che non va.
Perché c'è qualcosa, lo sento.
Non è da lui lasciar correre senza insistere almeno una volta.

Esco nel corridoio e cammino pesante, i piedi sul pavimento risuonano nella casa.
«Papà?» chiedo, affacciandomi in cucina.
Niente. È già al lavoro.
Queste mura sono così silenziose, troppo, per i miei gusti.
Consumo la colazione in solitudine, sgranocchio i cereali e talvolta getto un'occhiata annoiata verso la televisione, il brusio sommesso aleggia nella stanza.

Fatti di cronaca, omicidi, morti.

Sono sempre le stesse notizie, come se vivessimo in un'infinità di giornate uguali, solo con date differenti; un calendario a rotazione, anno dopo anno.
Sospiro e spengo, poso la tazza di ceramica nel lavandino e torno in camera.

Mi vesto leggero: maglia a mezze maniche e pantaloni neri fino al ginocchio, dato il principio di caldo.
L'estate è la mia stagione, mi si cuce addosso come un abito perfetto: totale libertà dalla scuola, feste e incontri con gli amici.
Tutto sembra risvegliarsi, comprese le persone e, soprattutto, scompare la presenza deprimente degli alberi senza foglie.
Nathan lo trova un paesaggio stupendo; io, al contrario, terribilmente noioso.
Gusti diversi.

Esco di casa e do una veloce controllata nella buca delle lettere in apparenza vuota.
Cosa sto cercando?
Idiota.

Mio fratello ha tagliato i ponti con la sua vecchia vita, famiglia compresa, ed è come se non fosse mai esistito.
Trova continue scuse per non tornare da noi alle feste e chiama il meno possibile, chiedendo quasi sempre di parlare con la mamma.
Chiudo le palpebre e per una frazione di secondo lo rivedo, in piedi davanti a me e a Nathan, quel pomeriggio di tre anni fa.
Era trasfigurato, non somigliava neppure più a lui, il disgusto come unico sentimento provato capace di eclissare il resto.

Scaccio il pensiero. Non ha senso rivangare il passato.
Se viene chiamato tale, vuol dire che non c'è più, e riportarlo alla luce lo renderà soltanto più vero e doloroso. E comunque, neanche impegnandomi al massimo sarei in grado di cambiarlo, quindi meglio lasciarlo dov'è.
Scendo in strada e poso entrambi i piedi sul mio skateboard colmo di immagini di teschi e croci nere e bianche. Brevi falcate e sono in sella, la velocità a comandare la mia direzione.

DestinoWhere stories live. Discover now