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Avanzo a passo spedito nel corridoio, diretto verso l'aula del terzo piano. Sorpasso le porte chiuse da cui proviene un sommesso brusio, talvolta si solleva qualche risata.
Incrocio lo stesso percorso di un ragazzo del primo anno giunto fin quassù alla ricerca dei materiali per la lezione. Non ho mai capito per quale ragione i docenti si ostinino a tenere gli oggetti più importanti ai piani superiori, costringendo così gli alunni a salire e scendere due rampe di scale ripide quanto un sentiero di montagna.
Il tipo mi lancia un sorriso timido a cui non rispondo.

Non ho tempo da concedergli; sono già terribilmente in ritardo.

Stringo la maniglia di ferro, il colore è ormai ridotto a un cumulo di incrostazioni penzolanti.
Socchiudo l'uscio e in una manciata di secondi una quarantina di occhi sono puntati su di me, gli sguardi indagatori pieni di curiosità, in molti c'è la gratitudine di poter fuggire via da quell'interminabile lezione anche solo per qualche minuto.

«Damien, ben arrivato.» 

La professoressa di Ornato Disegnato mi saluta scocciata, si solleva di poco con le braccia dalla sua sedia imbottita, i braccioli gridano pietà e tacciono soltanto nel momento in cui la donna smette di torturarli e torna seduta composta.
Non ricordavo avessimo lei alle prime ore di lezione.
Grave errore scomodare l'orso imbronciato dal suo trono pomposo.

«Salve, prof» mormoro avvicinandomi con un respiro trattenuto in gola, scambio qualche sorriso accennato con alcuni compagni in fondo alla classe e getto fuori il fiato; in cuor mio prego di non dover tirare per le lunghe la prossima scena.
Le labbra sottili della donna si arricciano mentre scruta il libretto foderato di azzurro, un arco tirato verso l'alto a combattere il primato con la punta del naso pronunciato.
Sbuffo mentalmente.
Conosce i miei problemi, ogni docente ne è al corrente, ma lei è l'unica a indugiare, come se avesse il disperato bisogno di trovare qualcosa da ridire sui miei ritardi.

Alla fine firma nello spazio vuoto e mi riconsegna il libricino.
Lo afferro e lei lo trattiene ancora. «Mi raccomando, impegnati a casa» borbotta e mi lancia uno sguardo eloquente da dietro i suoi piccoli occhiali quadrati.

Annuisco scoccandole un sorriso condiscendente. «Non si preoccupi, lo faccio sempre» rispondo pacato.
Dannata strega. Non ha niente di meglio da fare, oltre a ricercare nuovi metodi per tormentare i propri alunni?

Annuisce a sua volta lasciandosi sprofondare del tutto tra le pieghe del cuscino morbido, il volto compiaciuto sembra voler comunicare: e anche oggi questa è fatta.
Oltrepasso le file dei banchi fino a raggiungere uno degli ultimi, dove mi siedo, getto lo zaino sotto i piedi e abbandono la schiena tirata contro lo schienale.

«Ehi.»
Il ragazzo alla mia sinistra sussurra a bassa voce e smette per un istante di muovere la matita sul foglio.
Ha lunghi capelli neri legati dietro la schiena, occhi verde chiaro e una moltitudine di lentiggini che spuntano sopra al naso minuto, si espandono sulle guance e si bloccano poco prima di metà viso.

«Ehi» rispondo di rimando utilizzando il sempreverde saluto scambiato tra i ragazzi di questa scuola. Tre lettere... Grande esempio di comunicazione.

«Se pensi che la tua mattinata sia stata lunga, be', ti sbagli di grosso,» confida piegandosi in avanti sopra al foglio di carta da spolvero, «ci ha massacrati da quando ha messo piede in classe. Ha avuto da ridire su tutto, persino della sua stessa sedia, o meglio, il suo trono regale» conclude con una smorfia ed emette un verso squillante, una probabile imitazione più che azzeccata della nostra insegnante.
Alzo le spalle e tiro fuori l'astuccio colmo di matite. Scelgo una tirone 2B, la mia preferita, l'unica con la quale riesco a sentirmi completo.

«Avrei volentieri fatto a cambio con te, pur di risparmiarmi un incontro con il Grizzly» conclude il mio amico e una ragazza di fronte ridacchia a quella battuta, attirando l'attenzione del così detto: "Grizzly."

DestinoWhere stories live. Discover now