La Beffa (Parte I)

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L'aria calda e umida, profumata alle narici della giovane Eva, inebriava il piccolo bagno anonimo, delimitato da piastrelle bianche e rosse. Il vapore condensatosi lungo le pareti fredde della stanza colava verso il pavimento sotto forma di goccioline d'acqua.

Contro luce si poteva notare l'aria opaca d'umido che si muoveva appena, mossa dai movimenti della mano candida della ragazza che ondeggiava sull'acqua accarezzata dalle dita della sua mano.

In quell'atmosfera così calda e rilassante però, la mora provava solo gelo e infinito disgusto, disgusto per se stessa.

Un'ombra oscura, dalle sembianze del Titano, le era venuta in sogno, l'aveva derisa, smontando totalmente le sue già scarse speranze, come quella di riuscire almeno a intrattenere un qualche rapporto con i suoi coinquilini. Aveva prosciugato le sue buone intenzioni di riuscire a rivelare le sue paure, dicendole che era una stupida se credeva che Axel, dall'alto della sua intoccabilità di Puro di Cuore, avrebbe potuto dissolverle cercando di incoraggiarla a dare il meglio di sé e a recuperare il tempo che aveva perso ad affiancare l'essere più malvagio nell'intero universo.

Aveva riso di lei così crudelmente, così sinceramente, che non aveva potuto fare a meno di credergli.

"E allora cosa ci faccio qui?"

Ora che era libera mentalmente, poteva fare quasi tutto ciò che desiderava, a parte andarsene.

"Anche se me ne andassi le cose non cambierebbero, sono e rimango nient'altro che un verme..."

Tirò su col naso, sentendo la familiare voglia di piangere che, da quando l'Oblio aveva liberato il suo cuore dal male, non aveva fatto altro che tormentarla, ricordandole di avere dei sentimenti. Sentimenti che con i giorni, mentre la memoria cercava di riordinare ogni cosa, si erano tutti intensificati. Era terribile come sensazione, e lei era immensamente confusa.

Avrebbe voluto spegnere se stessa, essere anche succube di qualcuno. Almeno avrebbe avuto uno scopo da perseguire, anche se non sarebbe stato il suo. Ora che invece poteva agire, ma con la consapevolezza che non avrebbe fatto altro che gettarsi addosso altra sofferenza, era spaesata, delusa, triste e si odiava più che mai.

"Vorrei sparire nel nulla..." pensò, portandosi le mani al viso, cercando di confondere le lacrime con l'acqua calda della vasca, ma quelle lacrime apparivano più calde e salate al gusto. Non poteva cancellarle.

"Vorrei... vorrei... non esistere più."

Il pensiero le attraversò la mente, quasi fosse stato un lampo di genio. Smise di piangere e trattenne il respiro, sorpresa.

"Questo... lo posso fare."

Vivere era diventato insostenibile per lei, soprattutto con quegli incubi che ormai dominavano la sua mente... non poteva continuare in quel modo.

Si guardò intorno, gli occhi arrossati dal pianto non avevano più l'espressione triste di qualche istante prima, ora erano alla ricerca dell'arma che l'avrebbe liberata. Si levò in piedi e uscì dalla vasca, camminando scalza e bagnata sul pavimento freddo. Non risentiva del gelo che risaliva lungo i piedi dalle nude pianelle.

Aprì i vari scoparti della cassettiera posta affianco del lavandino, fino a quando, finalmente, non vi trovò un paio di forbicine in acciaio. Le afferrò e ne osservò la punta acuminata. Era piccola e sottile, ma sarebbe riuscita al suo scopo.

L'arteria femorale era di certo quella che l'avrebbe uccisa prima, per cui rientrò lentamente nella vasca e si sedette. Insonorizzò la stanza e impugnò meglio le forbici. Appoggiò la testa al lato della vasca e poi affondò crudelmente nella carne, cacciando un sonoro gemito di dolore.

V.  I TitaniWhere stories live. Discover now