CAPITOLO 113. Non voglio lasciarti voglio salvarti.

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Mio padre era sempre stata una figura esemplare ed importante nella mia vita. La sua morte aveva lasciato un profondo vuoto dentro le nostre vite ma io e la mamma eravamo due persone davvero molto forti e, sostenendoci a vicenda, riuscivamo ad andare avanti.

Non avrei mai voluto che, un giorno, i miei figli provassero lo stesso. Avere accanto entrambi i genitori aiuta a crescere e a diventare l'uomo o la donna che sarai in futuro. Ma per me non era stato così. Nonostante tutto mia madre era fiera della persona che ero, anche se commettevo continuamente errori. Ma i genitori sanno anche perdonare gli sbagli dei proprio figli, e così faceva anche lei.

Quella mattina mi alzai dal letto con davvero poca voglia. Il sole era ormai alto nel cielo e l'aria fresca ancora persisteva. La sveglia era suonata prima del previsto, con mio grande dispiacere, così fui costretta a raggiungere il bagno vestendo i panni di uno zombi. Mi spogliai dai miei indumenti, entrando all'interno della doccia. Il getto dell'acqua bollente mi fece gemere dal dolore e indietreggiai regolando la temperatura. Nei minuti successivi pensai solo a rilassarmi completamente, senza pensare a nulla... o quasi.

"Niente si può mettere tra di noi, nemmeno lui Amber. Noi possiamo farcela fino alla fine, e ce la faremo davvero."

Forse aveva ragione, forse non si sbagliava affatto, forse ero troppo convinta della mia opinione, forse dovevo iniziare a pensarla in modo diverso. Mi fidavo davvero di lui, come avrei potuto non farlo? Era la persona che amavo e dubitare di lui equivaleva alla nostra rottura definitiva. La verità era che la paura c'era, e c'era per entrambi. Sarei tanto voluta scappare da qui, lontana da questo posto e lontana da tutti. Sarei tanto voluta scappare via con Justin, in un posto magari sperduto, in mezzo al nulla. In un posto presente nemmeno sulla cartina o sul navigatore. Lontano. Sospirai, insaponando energicamente i miei capelli. Dovevo rimanere forte, entrambi dovevamo rimanere forti. Io non dovevo cedere proprio come non doveva farlo lui. Insieme ce l'avremmo davvero fatta, ma solo INSIEME.

Alle otto precise varcai la porta d'entrata della scuola. Un vociare incessante mi arrivò dritto alle orecchie, distraendomi dai miei pensieri. Salutai qualche conoscente con un segno della mano, accennando un sorriso e poi via, camminando senza distrazioni fino al mio armadietto. Avevo davvero l'aspetto di uno zombie quella mattina e nemmeno il trucco riusciva a coprire le visibili occhiaie causate dal poco sonno delle tre del mattino. Sbadigliai, raggiungendo il mio armadietto. Inserì, senza alcun fretta, la combinazione e quando percepì il familiare suono della serratura sbloccata, aprì quell'ammasso di metallo. Un biglietto giallo cadde ai miei piedi, depositandosi al suolo. Mi guardai intorno, sperando di intravedere chi fosse stato il destinatario. Ma niente, feci spallucce raccogliendolo. Lo aprì, notando tratti lunghi o brevi di inchiostro nero.

"Non riesco a contattarti: ne per chiamate tantomeno per semplici messaggi. Non so se il tuo è un modo per evitarmi o evitare quello che sta succedendo ma, in tutta sincerità, non ho interesse di saperlo. Volevo solo dirti una cosa. All'una in punto raggiungimi sulla terrazza della scuola. Ho una questione urgente su cui parlarti. Per favore Amber, non fare anche sta volta di testa tua. Dammi retta, almeno per ora. È qualcosa di serio. Non voglio farti agitare ma non parlare con nessuno per i corridoi, non intrattenerti troppo in mensa o nel bagno, non fare cose che potrebbero attirare l'attenzione ma, soprattutto, raggiungi subito la classe al suono della campanella.

Ah, un'ultima cosa: sei bellissima oggi.

Justin"

Avvampai d'improvviso, sentendo le farfalle invadermi lo stomaco. Arrossivo leggendo una stupida riga, arrossivo per così poco, arrossivo per un "sei bellissima" ripetuto miliardi di volte. Richiusi il biglietto e me lo misi nella tasca posteriore dei pantaloni, sospirando. Ogni giorno c'era qualcosa che non andava. Ogni giorno subentrava una notizia peggiore della precedente ed ero sicura che sarebbe stato così anche questa volta. Mi incamminai verso la mia classe, con sguardo basso. Non dovevo dare all'occhio, non ero di certo quel tipo di persona. Non dovevo parlare con nessuno per i corridoi, di mattina è molto difficile che lo faccia quindi, nessun problema. Non dovevo trattenermi troppo in mensa o in bagno, e se improvvisamente mi prendevano dolori mestruali? Disapprovai con la testa, sorridendo al mio banale pensiero. Ok, ora restava però solo una cosa da fare: sopportare la presenza di Corinne al corso di biologia.

Our love suicideWhere stories live. Discover now