CAPITOLO 67. Mi esaurisci.

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QUATTRO GIORNI DOPO

Nulla di confermato, ancora. Ma sto seriamente pensando di andare qualche giorno a Londra. Con me verrà anche Chris, se decido di partire. Non vuole lasciarmi sola e le sue solite paranoie da cugino maggiore lo rendono impertinente. Sono passati quattro giorni da quel pomeriggio. Non ho più sue notizie. Non ho più intenzione di continuare a pensare a lui. Ancora qualche giorno di vacanza e poi si rientra a scuola. Il prossimo anno andrò all'università. Taylor, invece, ha intenzione di non continuare gli studi, suo padre ha già pensato a collocarla nella sua azienda di arredamenti. Josh, al contrario, verrà con me. Sdraiata sul letto osservo il soffitto bianco sopra la mia testa. Con gli auricolari nelle orecchie mi concentro a pensare. A cosa? A chi? Socchiudo gli occhi, sospirando. Che serve ancora sperare? Che serve ancora credere? Che serve ancora non mollare? Ma l'ho già fatto da tempo. Siamo diversi, totalmente diversi. Il mio passato non è oscurato da omicidi, il mio passato non è oscurato dal dolore e dalla paura, il mio passato non è oscurato dalla morte. Ma il suo si. Come possiamo sperare in un futuro quando il passato non ce lo permette? Perché è così, siamo tormentati dal passato. Lui è tormentato dal suo passato. E la mia presenza, in tutto questo, cosa può fare? Assolutamente nulla. Destinati ad essere distanti. Destinati a non stare insieme. Destinati a non amarsi. Destinati a soffrire per questo. Forse è stato un bene che mi abbia lasciata quel giorno, e lo so che è brutto da dire ma sto capendo molte cose ora. Cose che prima non credevo minimamente di immaginare, tantomeno pensare. Cose che complicano tutto. Cose che portano la mia mente a riflettere lontano dal mondo interno. Cose come la morte. Come potrei mai amare un assassino? "MA ORA NON LO È PIÙ AMBER, E LO SAI." Che cosa so? So che ha smesso di uccidere? E chi mi da la conferma di questo? Nessuno, neppure lui. Mi alzo dal letto, pronta per rilassarmi con un bagno caldo. Stare sola, in casa, mi mette noia. Non so mai cosa fare e odio pensare, soprattutto a lui, costantemente. Entrai in bagno, spogliandomi da ogni indumento. Mi immersi nell'acqua calda della vasca, dove mi rilassai completamente. Chiusi gli occhi, respirando a fondo.
INIZIO FLASHBACK
J: Dio Amber, cosa sei, cosa ti farei. - Lo sentì gemere contro il mio orecchio, mordicchiandomi piano il lobo. Tremai al suono delle sue parole e sorrisi ingenuamente. Negli attimi successivi cercai solo di concentrarmi su di lui. Sul suo respiro pesante tra il solco dei miei seni, sulle sue labbra che mi marchiavano a fondo la pelle, sul suo tocco esperto. Riusciva a mandarmi a fuoco con un solo sguardo e la sua mano che girovagava lungo il mio basso ventre non mi aiutava affatto: percepì ogni minimo spostamento del suo pollice, il quale disegnava linee immaginarie lungo il contorno dei miei slip. Le sue mani sul mio corpo mi fecero letteralmente esplodere. Le sue labbra strusciavano lentamente contro il mio ventre, dai seni fino giù, disegnando una lunga e perfetta linea. Mi inarcai sotto di lui mentre le sue mani mi accarezzavano con insistenza.
FINE FLASHBACK
Sobbalzai di colpo quando un brivido mi invase del tutto, al ricordo delle sue mani sulla mia pelle. Mi premetti una mano sul petto, cercando di fermare il cuore, di diminuire il battito, aiutandolo a non arrancare. Inspirai ed espirai, ma il cuore continuava a galopparmi all'impazzata. Possibile che un tale ricordo poteva farmi un tale effetto? Possibile, lo era davvero. Avevo la pelle d'oca, e mi sentì improvvisamente troppo piccola per quella vasca. Tutti quei ricordi erano così vividi, come se li avessi appena vissuti. Sentivo ancora il suo respiro sul collo, le sue mani calde mai sazie di toccare il mio corpo, la sua bocca vorace che baciava la mia e i numerosi baci insaziabili. Mi immersi ancora più a fondo nella vasca, per tenere a bada gli spiriti bollenti. Lasciai l'acqua ghiacciata lavare via tutte le mie preoccupazioni, lasciai che mi scivolassero addosso, ed uscì dalla vasca sentendomi come nuova. Dato il clima non troppo freddo, indossai dei pantaloncini di jeans, una camicia bianca, e le mie adorate pantofole. Mi guardai allo specchio: con la coda alta, senza trucco e il sorriso sulle labbra poteva essere la fine di una buona giornata, fino a quel momento tale. E così andai ad aprire quando bussarono alla porta, solo che ad aspettarmi c'era un Justin tutt'altro che sorridente.
J: Si può sapere che cazzo ti ha preso? - Chiese entrando in casa.
Io: Cosa ci fai qui? Mi pare di essere stata abbastanza chiara l'ultima volta. Ci siamo alzati con il piede sbagliato stamattina? - Dissi alzando un sopracciglio e chiudendo la porta alle mie spalle.
J: Mi incolpi, mi fai sentire una merda, piangi e scappi via. Cazzo Amber, sono stufo di tutto questo! - Urlò. Lo guardai esterrefatta, senza parole. Altro che buona giornata, qui si andava di male in peggio - Non sapevo che essere amici significasse dirti quando, come e chi mi scopo! Dio Amber, mi esaurisci! - Lo esaurivo. Io lo esaurivo. Non ci vidi più dalla rabbia.
Io: Io ti esaurisco? Io, Justin? Cazzo, sei un tale coglione! - Urlai andandogli incontro, poggiandogli le mani sul petto per spintonarlo. Ero indignata, offesa, ferita e lui non aveva alcun diritto di trattarmi in quel modo. Immaturo, stupido, idiota e ancora immaturo Justin, in tutto e per tutto.
J: Sto ancora cercando di capire cosa ti aspetti da me. Ho rispetto la tua fottuta volontà di non toccarti, di non fare più sesso e sono andato a sfogarmi altrove, dove cazzo è il problema? - Domando urlando. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto, o peggio. Per lui era stato solo sesso. Puro e semplice sesso, niente di più, niente di meno. Fu come quando un vaso si frantuma e va in mille pezzi. Io ero il vaso. E i mille pezzi erano il mio cuore, la mia fiducia e la mia dignità. Mi salirono le lacrime agli occhi ma per una benedetta volta, nonostante bruciassero da far male, riuscì a trattenerle.
Io: Vuoi sfogarti? - Domandai sussurrando - Sono qui allora, prendimi. - Continuai in modo di sfida, guardandolo negli occhi. Aveva sicuramente letto il dolore nel mio sguardo, la voce sofferente e le mani tremolanti quando le mie dita arrivarono a sbottonare i primi quattro bottoni della mia camicia. Anche non vedendolo, sapevo perfettamente che il pizzo del mio reggiseno aveva fatto capolino - Sono qui. - Ripetei stremata, lasciando le braccia pendere ai lati del corpo - Usami e poi gettami come fai con tutte. - Lacrime trattenute, sguardo fisso nel suo e dignità al sicuro: potevo farcela. La camicia aperta lasciava intravedere tutto. Justin sgranò gli occhi e mi guardò con occhi del Justin che conoscevo: dispiaciuti, sinceri, feriti. Una sola schifosissima lacrima scappò al mio controllo, e lui la fissò con un intensità tale che pensai potesse asciugarla.
J: Amber... - Gemette dispiaciuto, pentito. Avanzò di un passo e mi ritrovai stretta tra le sue braccia, al sicuro. Il respiro venne a mancarmi, e rimasi immobile stretta contro di lui. Il cuore che andava per i fatti suoi, gli occhi colmi di lacrime prepotenti che sarebbero potute uscire da un momento all'altro, lo sguardo fisso in un punto sulla parete dietro le sue spalle. Piccola, indifesa, sciocca, gelosa, vogliosa di lui, vulnerabile, stanca, sfinita, delusa, umiliata, angosciata, pentita, sola, vuota. Ero questo in quell'attimo. La sua mano mi accarezzava la schiena, al di sotto della camicia mandandomi il tilt.
Io: Per quanto sto bene tra le tue braccia, io ti odio. - Dissi allontanandomi - E... voglio che tu te ne vada. - Asciugai in fretta la lacrima. Avvicinandomi alla porta di casa, lo guardai negli occhi - Esci da casa mia, Justin... esci dalla mia vita.
J: Amber... - Ripetè guardandomi.
Io: Vattene. - E lo fece, senza distogliere lo sguardo dal mio. Mi sentì incredibilmente vuota, come se avessi perso una parte di me, la più importante. Umiliata, derisa, ferita, mi accasciai contro la porta. E piansi fuoco.

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