CAPITOLO 79. Io sono sbagliata.

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Com'era possibile? Come aveva fatto ad entrare? Come ci era risuscito? Mi voltai, trovandomi due occhi color nocciola affogare nei miei. Dio santissimo...
Io: Justin? - Corrugai la fronte, guardandolo con attenzione - Cosa cavolo ci fai qui, Justin? - Abbassò lo sguardo - Sei impazzito, per caso? Non sono sola in casa, c'è mia madre e Paul! Si può sapere che ti èsaltato in mente, razza di incosciente?
J: Ho bisogno di parlarti Amber.
Io: Lo abbiamo fatto già prima al telefono. Vattene da qui, ora Justin. - Dissi indicando la finestra alle sue spalle.
J: No! Non me ne andrò fin quando non mi avrai ascoltato. - Alzai gli occhi al cielo, sospirando.
Io: Non è il momento, n'è il luogo adatto per farlo. Ne parliamo domani, per favore.
J: No! - Disse alzando il tono della voce. Lo spintonai, bloccandolo contro la parete.
Io: Smettila di urlare, smettila di insistere. Chiaro? - Puntai l'indice contro il suo petto.
J: Amber, devo dirti delle cose.
Io: Non mi interessa sapere nulla in questo momento. Torna a casa Justin, per favore. - Mi allontanai dal suo corpo, avvicinandomi al letto. Mi sedetti su di esso, stringendo forte i pugni sul vestito. Non avevo voglia di sentirlo parlare. Non avevo voglia di sentirgli dire qualsiasi cosa. Non avevo voglia di ritrovarmi, ancora, a piangere davanti a lui. Lo vidi avvicinarsi, e chinarsi davanti a me. Lo guardai negli occhi, mentre la sua mano accarezzava lentamente la mia guancia.
J: Amber, io ti am...
Io: Non dirlo. - Dissi interrompendolo velocemente.
J: Cosa?
Io: Non dirlo e basta. - Corrugò la fronte, fissando a fondo le mie iridi.
J: Perché non dovrei dire che ti am...
Io: Perché tu non mi ami. - Lo bloccai ancora.
J: Come fai a dirlo?
Io: Perché lo so.
J: No che non lo sai, sono serio Amber.
Io: Anch'io.
J: E allora come fai a saperlo? - Mi domandò serio.
Io: Semplice, nessuno ama quelle come me.
J: E come sarebbero quelle come te?
Io: Quelle tristi, quelle che sorridono poco, quelle che fanno pazzie. Quelle che sembrano forti ma in realtà sono insicure. Quelle sbagliate, Justin. - Corrugò nuovamente la fronte, mentre il suo sguardo diventava sempre più dolce.
J: Tu non sei sbagliata, Amber. - Sussurrò pacato.
Io: E invece si!
J: E allora non per me! - Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore.
Io: Forse sei tu quello troppo giusto.
J: Non lo sono nemmeno un pò, credimi. - Sentì il suo indice posizionarsi sotto al mio mento, alzandomi il viso verso il suo - Posso dirtelo?
Io: No.
J: Perché no?
Io: Perché rischierei di crederti. - Sentivo gli occhi pizzicarmi, sentivo la gola bruciarmi, sentivo un gran caldo mentre i suoi occhi mi esaminavano a fondo.
J: Tu devi credermi, Amber.
Io: Non posso. - Afferrò entrambe le mie mani, stringendole tra le sue.
J: Tu mi ami?
Io: Non lo so. - Risposi confusa.
J: Le ragazza sbagliate possono amare i ragazzi giusti?
Io: Può darsi.
J: Però non viceversa, giusto? - Annuì - Va bene. Non amerò una ragazza sbagliata, allora. - Si alzò in piedi, lasciando le mie mani.
Io: Te ne vuoi andare?
J: Si. - Rispose freddo. Mi diede le spalle, e strinse forte i pugni.
Io: Mi ami ancora? - Ci volle qualche lungo secondo prima che rispose. Degli interminabili secondi che a me sembrarono un eternità.
J: Si.
Io: Ma io sono sbagliata!
J: Ti amo. - Sospirai, fissando il pavimento sotto ai miei piedi.
Io: Perché?
J: Perché tu di sbagliato non hai proprio un cazzo! - La sua voce echeggiò per tutta la stanza, facendomi rabbrividire. Lo guardai negli occhi, mentre mi lanciò uno sguardo carico di rancore e tristezza.
Io: Di cosa hai bisogno, Justin?
J: Di te.
Io: Perché? Perchè io?
J: Perché sei tutto ciò per cui lotterei. - Una lacrima solcò la mia guancia a quelle parole e mi ritrovai, in poco tempo, a piangere silenziosamente, senza distogliere lo sguardo dal suo. Lo amavo, lo amavo con tutta l'anima. Ma in me mancava il coraggio di confessare la verità. Di confessare che, infondo, non avevo mai smesso di farlo.
IL GIORNO DOPO
La mattina a scuola camminai lentamente per i corridoi, guardando terra. La notte precedente non ero riuscita a chiudere occhio, le parole di Justin erano ancora permanenti nella mia testa. Oggi sarei andata a casa sua, per digli ogni cosa, per chiarire ogni cosa. Volevo tornare con lui, perché ne avevo bisogno. Forse anche troppo. Non vederlo per i corridoi della scuola mi mise una gran tristezza e proseguì il mio cammino fino all'aula di biologia. Entrai nella classe, occupando un banco in fondo all'aula. Volevo stare sola, volevo essere lasciata in pace, volevo riflettere su alcune cose. Era arrivato il mio turno, ora. Toccava a me finire questa faccenda, oggi stesso. E lo avrei fatto davvero, senza più inutili ripensamenti.

La giornata era trascorsa velocemente, forse anche troppo. E, ben presto, arrivò il momento che tanto aspettavo: andare da lui. L'orologio segnava le diciassette in punto. Infilai un giacchetto e, dopo aver avvertito mia madre della mia uscita improvvisa, mi incamminai verso casa sua. Il vento baciava la mia pelle, e mi strinsi maggiormente nelle spalle. Il sole era coperto da nuvole prepotenti, che avrebbero sicuramente buttato giù una grande quantità d'acqua. Tempo davvero azzeccato, oh si. A grandi, ampie e veloci falcate raggiunsi il cancello di casa sua. Quella gigantesca casa si erigeva davanti ai miei occhi, imponente. Mi sentì improvvisamente piccola e sentì il bisogno di scappare, ma non lo feci per una dannata volta. I problemi vanno sempre affrontati nella vita, ed ora era arrivato anche il mio turno. Varcai il cancello, mentre il vento soffiava forte. I miei capelli vagavano per conto proprio e, ben presto, gocce di pioggia mi bagnarono il volto. Mi bloccai di scatto, nel bel mezzo della piccola via che mi divideva dalla porta. Iniziai ad osservarla a fondo, quasi a volerla incenerire con un solo sguardo. Il momento era davvero arrivato. Non si torna indietro, sta volta no. Il cuore iniziò ad aumentare i battiti, quasi a voler uscire dalla gabbia toracica. Il respiro si faceva pesate e le gambe avrebbero potuto cedere da un momento all'altro. Ero bagnata, completamente bagnata. Alzai lo sguardo verso il cielo, osservando la pioggia cadere come piccoli cristalli. Chiusi gli occhi, sorridendo ingenuamente.
Io: Justin! - Urlai - Justin! - Lo feci di nuovo, fissando la porta di casa sua - Justin! - Le lacrime scesero, in mischiandosi alla pioggia - Esci da quella porta, maledizione! - Strinsi forte i pugni, mentre tutto intorno si fece silenzioso. La pioggia scendeva incessante su di me, e iniziai a sentire un gran freddo - Justin! - Il mio diaframma si alzava e si abbassava irregolarmente, mentre le lacrime continuavano a solcarmi il viso. La porta si aprì di scatto, e mi calmai improvvisamente, o quasi. I suoi occhi iniziarono a scrutarmi con attenzione e il suo sguardo, confuso, cercò il mio.
J: Amber! - Urlò a suo volta - Cosa cazzo ci fai sotto la pioggia? - Non risposi, ma lo guardai. Ero incantata, ero incosciente, ero immobile, ero stregata - Entra in casa, Amber!
Io: Perché? Perché è tanto sbagliato amarti? - Urlai ancora. Sentì la gola bruciarmi in un modo smisurato. Sentì le parole morirmi in gola. Sentì di poter scoppiare da un momento all'altro. Non rispose, ma continuò a fissarmi negli occhi - Perché non mi hai mai chiamata quando ero a New York?
J: L'ho fatto Amber, ti ho chiamato per tutte e due le settimane. Era il tuo fottuto telefono che non funzionava nel verso giusto! - Mi morsi il labbro inferiore, abbassando il capo. Lo aveva fatto, anche quando ci eravamo lasciati. Che stupida cogliona.
Io: Dovevi tornare da me! Dovevi prendere il primo aereo diretto per New York e venirmi a prendere! Perché non lo hai fatto? - Era strano, urlare e piangere sotto la pioggia. Era strano, guardarlo senza una fine. Era strano, il suo sguardo mentre fissava il mio.
J: Non ce l'ho fatta. Ero troppo orgoglioso per farlo.
Io: In questo modo hai fatto finire tutto quello che c'era tra di noi! Hai fatto scorrere la nostra relazione come se niente fosse! Mi hai fatto scivolare via dal tuo cuore e dalla tua testa come se non avessi mai contato nulla per te! Ti odio per questo! - Scese gli scalini, e si avvicinò a me - Perché hai lasciato finire tutto quanto?
J: Non era finita, e non è finita nemmeno adesso. - E così mi baciò. Un bacio violento, divoratore, un bacio pieno di dolore e passione. Un bacio capace di trasmettere tutta la sofferenza possibile ed immaginabile. Un bacio sotto la pioggia. Le sue mani mi stringevano i fianchi, le mie mani finirono tra i suoi capelli, dietro la testa. Lo baciai con avidità, con brama e con un pizzico di nostalgia. La sua lingua mi divorava insaziabile, arrivando fino in fondo, togliendomi il respiro. Avevamo davvero chiarito ogni cosa? Avevamo davvero risolto tutto con un solo bacio? Si staccò dalle mie labbra, e affogò i suoi occhi color ambra nella miei iridi azzurre. Le goccioline d'acqua cadevano dalla sua fronte, depositandosi sulla sua bocca. E mi ritrovai stupidamente ad invidiarle. Avvampai a quel pensiero e se ne accorse perché mi baciò ripetutamente il labbro inferiore. Continuai ad affogare in quelle pozze dorate ancora per molto, mentre la pioggia batteva sui nostri corpi. Eravamo del tutto bagnati ma non mi importava, non mi importava niente in quel momento, se non viverlo come mai avevo fatto fin ora - Vieni con me... - Sussurrò contro il mio orecchio.
Io: Si. - Risposi senza chiedere neanche "dove" consapevole che, ovunque fossimo andati, sarebbe stato il posto giusto.

Our love suicideWhere stories live. Discover now