CAPITOLO 98. Non andartene.

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QUALCHE GIORNO DOPO
"Vieni con me, Amber."
Lo avevo fatto. Lo avevo seguito senza chiedere "dove?" Ci trovavamo in macchina, e Justin era teso, forse troppo per i miei gusti. Stringeva tra le mani il volante, senza distaccare gli occhi dalla strada. Corinne se n'era andata, almeno non definitivamente. Aveva accettato il consiglio di Justin, ovvero andare dai suoi genitori nel North Carolina. In questo modo avrebbe potuto restare al sicuro almeno per un po'. In quanto a me, non tornavo a casa da tre giorni, ormai. Justin mi aveva obbligato a restare da lui, per un tempo ancora indeterminato. La gravidanza di mia madre andava bene, almeno questo era quello che mi aveva riferito lei per telefono. Avevo una voglia matta di riabbracciala ma, per il momento, era meglio non farlo. Justin diventava ogni giorno sempre più protettivo verso di me. Non mi lasciava sola nemmeno un secondo e, se da una parte mi faceva piacere, dall'altra faceva accrescere solo la mia ansia. Non avevo idea di dove stavamo andando, sapevo solo che era un posto lontano dal centro di Los Angeles. E non sapevo nemmeno perché stavamo andando lì, l'ostinato silenzio di Justin non mi aiutava affatto. La macchina sfrecciava veloce sull'asfalto e, ben presto, le infinite case e fabbricati di Los Angeles sparirono all'orizzonte, lasciando spazio ad una gigantesca raduna verde. Sporsi la testa fuori dal finestrino, mentre l'aria fresca baciava la pelle del mio volto scompigliando i miei capelli. Alzai gli occhi al cielo, notando le chiome degli alberi ricoprire le nostre teste. La luce del sole penetrava attraverso i rami degli alberi e, accompagnati dal cinguettio degli uccelli, varcammo un cancello. Tornai composta al mio posto, osservando il luogo che ci circondava. Una grande casa apparve davanti ai miei occhi. Spostai lo sguardo su Justin, impegnato a parcheggiare. Che cos'era questo posto? Dov'eravamo?
J: Entra in casa. - Disse serio spegnendo il motore della sua Range Rover. Afferrai saldamente la sua mano, incrociando i suoi occhi.
Io: Mi dici che succede?
J: Più tardi. - Rispose accennando un sorriso - Promesso. - Annuì, scendendo dalla macchina.

Il luogo che mi circondava era strabiliante. La natura era un qualcosa che avevo sempre amato, fin da bambina. Numerosi fiori e piante circondavano la casa che ci avrebbe ospitato per i prossimi giorni. Raggiunsi un grande albero e lo guardai meravigliata dal basso verso l'alto. Era enorme, davvero enorme. Non avevo mai visto un albero così grande. Mi sedetti sulla panchina situata davanti a me e respirai l'aria fresca, socchiudendo gli occhi. Che posto meraviglioso. Un vento leggero e fresco scompigliava i miei capelli e il sole riscaldava le mie gambe. Quando riaprì gli occhi, notai Justin camminare verso di me. Indossava un paio di jeans blu e una maglietta bianca. Al collo portava una collana a forma di croce e la solita perfetta cresta faceva la sua figura.
J: Penso che ti debba delle spiegazioni. - Disse sorridendo.
Io: Oh, lo penso anch'io. - Sorrisi a mia volta. Si sedette al mio fianco, intrecciando la mia mano con la sua.
J: Stai bene? - Annuì. I suoi occhi esaminavano a fondo i miei e mi accorsi che erano di una bellezza esagerata, proprio come lui.
Io: Perché siamo qui? - Domandai guardandomi intorno.
J: Per la tua protezione, Amber. - Tornai a guardarlo, corrugando la fronte - Ascolta... tu devi fidarti di me, va bene?
Io: Mi fido di te, Justin.
J: Perfetto. - Abbassò il capo, sospirando leggermente - Patrick sta venendo qui. - Lo guardai immobile, senza pronunciare parola.
Io: Cosa?
J: Era partito per il Canada qualche giorno fa, ma ora sta tornando a Los Angeles e restare in quella casa non potrebbe essere prudente. - Socchiusi gli occhi, sospirando rumorosamente.
Io: Per quanto tempo dobbiamo stare qui?
J: Non lo so. Ma è mio tutto questo, quindi non c'è nessun problema.
Io: è tuo? - Annuì.
J: Tutto ereditato da mio nonno, essendo il nipote più grande. - Questo spiegava molte cose - La casa apparteneva a lui e a mia nonna, un tempo. Poi si sono trasferiti altrove e, una volta morto mio nonno, la nonna non se la sentiva di tornare ad abitare qui. Diceva sempre che questo posto le ricordava troppe cose, così affidò la custodia a me, ed accettai. - Lo ascoltai attentamente, fissando il suo volto.
Io: Ci vieni spesso qui?
J: Al contrario, quasi mai. Ma è un buon nascondiglio, sai? - Disse accennando un sorriso forse per alleggerire la situazione creata.
Io: è molto bella la casa, anche dentro.
J: Già. Ricordo che da bambino amavo venire qui e stare a contatto con tutto questo. Era come il mio sfogo, in qualche modo. - Non mi aveva mai parlato di tutto questo e, ogni giorno, mi trovavo a scoprire nuove cose di lui perché, infondo, io non sapevo tutto.
Io: Dov'è tua nonna ora?
J: è morta anche lei. - Disse osservandomi - Tre anni fa.
Io: Mi dispiace. - Abbassò il capo, stringendo forte la mia mano nella sua. Gli baciai la fronte, stringendolo in un abbraccio.
J: Non voglio parlare di questo ora. - Disse accarezzandomi la schiena.
Io: D'accordo. Posso fartela io una domanda? - Annuì - Non hai freddo? - Disapprovò con la testa, trattenendo una risata - Nemmeno un pò?
J: Amber, sono canad...
Io: Lo so, lo so. - Dissi interrompendolo. Sorrise. Poco dopo si alzò dal suo posto, iniziando a camminare avanti e indietro come un pensatore. Lo osservai per un tempo infinito, era bellissimo. La mascella contratta metteva in risalto ogni suo lineamento. Poco dopo si fermò, alzando gli occhi al cielo. Infilò le mani all'interno delle tasche dei pantaloni, sospirando lentamente. Che cosa ti tormenta Justin? - Perché assomigli tanto ad un angelo?
J: Sei tu a pensarlo, piccola. - Non distolse gli occhi da quell'immensa distesa azzurra sopra le nostre teste e, di conseguenza, non disse o accennò altro, nemmeno un piccolo sorriso.
Io: Perché non lo fai più?
J: Fare cosa? - Disse dando un calcio ad una pigna.
Io: Sorridere, ma sorridere davvero.
J: E tu? Perché non ridi più come prima? - Disse guardandomi.
Io: Che intendi?
J: Una volta ridevi sonoramente, buttando il capo indietro e arricciando il naso. Non lo fai più. Adesso ti contieni. Perché? - Era impressionante sapere che mi osservava così attentamente in ogni cosa che facevo.
Io: Non mi sembra più così bello ridere.
J: E a me non sembra più così bello sorridere.
Io: Perché? - Sospirò, abbassando il capo.
J: Una volta eri tu a provocare i miei sorrisi. Ed eri tu, a coglierne ogni sfumatura con i tuoi occhi blu come l'oceano. - Una profonda angoscia si percepiva attraverso la sua voce.
Io: Ma io sono qui, Justin. Io non ho mai smesso di guardarti, sai? Però non vedo più quei sorrisi che tanto amavo, e questo fa male.
J: A me fa più male. - Corrugai la fronte.
Io: Cosa? Non sorridere?
J: No. Il fatto che tu rimani a guardare da lontano senza scomporti per farmi tornare quello di un tempo. - Mi alzai dal mio posto, avvicinandomi a lui.
Io: Ma cosa stai dicendo? Ti rendi conto che tutto questo è una follia? Ti rendi conto che non è assolutamente vero? Te ne rendi conto Justin, si o no? - Iniziò a camminare distante da me e mi ritrovai a seguirlo - Tu sei cambiato per i tuoi di problemi e io in tutto questo non centro assolutamente nulla perché non ho mai voluto toglierti quel sorriso che tanto amavo dal tuo viso.
J: Già, lo facevi. Ora non più. - Allentai il passo, colpita a fondo da quelle parole che mi attraversarono come lame taglienti il cuore.
Io: Io non sono abbastanza per te... - Sussurrai con la voce smorzata dalle lacrime. Non rispose, ma smise di camminare, dandomi ancora le spalle.
J: Non so cosa mi sta succedendo, ma ogni giorno che passa mi rendo sempre più conto che IO non sono abbastanza per te. - Lo guardai immobile, mentre lentamente si voltò verso di me. La distanza che ci separava metteva i brividi. Non avevamo mai parlato così lontani. I suoi occhi affogarono nei miei, e quello scaturì solo la discesa delle mie lacrime che mi inondarono il volto senza preavviso.
Io: Non sai nemmeno cosa vuoi...
J: è vero, non so più cosa voglio. Tutto questo sta facendo solo peggiorare le cose tra di noi. - Abbassai il capo, trattenendo un singhiozzo.
Io: Perché mi hai portato qui quando non sai nemmeno se ti importa più di me?
J: Oh credimi Amber, è l'unica cosa certa quella di sapere che ti amo. - Credergli? O non farlo? Il caos nella mia testa mi impediva di ragionare.
Io: Sai cosa c'è? C'è che sei un idiota. C'è che parli senza prima ragionare. C'è che non fai altro che sparare stronzate su stronzate ma alla fine che ti frega? Tanto quella che ci sta male poi sono io, no? Bene, allora nemmeno a me importa più di nulla se pensi tutte quelle cose. - Si avvicinò, ma indietreggiai istintivamente - Non ti accorgi mai di quando faccio qualcosa di giusto ma trovi sempre l'attimo esatto che sbaglio per venirmi contro. Sei sempre pronto a farmi sentire un merda, sei sempre pronto a farmi sentire un stupida ma sai che ti dico? Mi sono rotta di tutto questo, e mi sono rotta del tuo comportamento. - Presi a camminare, dirigendomi verso la casa. Mi sentivo vuota, una profonda nullità. Non ero in grado nemmeno di far sorridere il ragazzo che amavo. Davvero? E allora cosa ci facevo ancora qui? Non servivo, ed era sempre stato così. Non ero mai servita a niente. Entrai in casa, salendo le scale fino alla camera da letto. Entrai al suo interno, afferrando la mia valigia. Con velocità ripercorsi le scale, arrivando al piano inferiore. Notai Justin, sulla soglia della porta, cercarmi con gli occhi e, quando si accorse di me e notò la mia sacca stretta nella mano, sgranò gli occhi.
J: Cosa credi di fare?
Io: Andarmene. - Risposi seria. Lo scansai, uscendo sul viottolo di quella casa. Mi avvicinai alla sua Range Rover, aprendo lo sportello.
J: Amber cazzo, non puoi andartene! - Disse correndo verso di me.
Io: Posso eccome. Non sono obbligata a restare qui con uno che non prova nemmeno un briciolo di riguardo nei miei confronti.
J: Ma non capisci che se te ne andrai ti troverà?
Io: Che lo faccia allora! - Urlai voltandomi verso di lui - Che lo faccia. Che mi prenda e mi uccida anche, non mi frega più un cazzo tanto! Di niente! Tantomeno di te. - Tirai fuori le chiavi della macchina dalla tasca dei miei pantaloni e premetti il pulsante di apertura. Una forte presa mi circondò l'avanbraccio e mi sentì strattonare poco delicatamente. I suoi occhi cupi e pieni di rabbia osservavano i miei. Deglutì rumorosamente, mentre un forte vento iniziò a tirare. Mi fece indietreggiare e, in questo modo, la mia schiena urtò contro la sua macchina. Mugolai dolorante per la botta poco piacevole che avevo preso.
J: Tu vuoi morire? Vuoi davvero morire, Amber?
Io: Si, almeno la smetterò di scappare dall'interno mondo! - Risposi in lacrime - Perché eh? Perché proprio di te mi dovevo innamorare? - La sua presa sul mio braccio diminuì e la sua espressione tornò ad essere quella di un tempo - Non fai altro che portare dolore e paura nella mia vita, ecco cosa. Ma non te ne accorgi, perché a te non frega niente di come mi senta realmente.
J: Non è affatto così, Amber.
Io: è così Justin, è sempre stato così! - Abbassai il capo, notando ancora il suo corpo attaccato al mio. Deglutì - Lasciami andare.
J: Verrò con te. - Disapprovai con la testa - Ti prego Amber, chiariremo ogni cosa ma ora come ora sarebbe pericoloso per chiunque andare in giro con un pazzo uccisore per la città e, più di tutti, per te. - Disse sussurrando - Pensa a tua madre, a cosa potrebbe succedere se davvero accada una cosa simile. Pensa a Paul, che è diventato pur sempre parte della tua famiglia. Pensa ai tuoi amici, a Taylor e a Josh in particolare.- "Sta zitto maledizione, zitto!" - E pensa a me, Amber. Pensa a cosa potrei diventare sapendo che tu non potrai mai più tornare da me. - Sgranai gli occhi, tornado a guardarlo - Non pensare che non mi importi nulla di te, se era così a quest'ora ti avrei già lasciata andare ma non lo faccio perché ti amo e perché ti voglio qui con me. - Disse accarezzandomi una guancia - Prima, con quelle parole, non intendevo affatto farti piangere e so che è successo. Ti prego di credermi se ti dico che mi sento un mostro per questo. Ma credimi anche quando ti dico che per me conti più del mondo interno. Più della mia stessa vita. - Una lacrima solcò, lenta, la mia guancia - Non rifletto prima di parlare, ed è maledettamente vero. Questo mi porta ad essere odiato dalle persone, il fatto che dico quello che penso ad alta voce. Ma con te è diverso. Non dovrei prendermela con te per i miei problemi, che poi alla fine sono anche i tuoi, ma prova a metterti nei miei panni, prova a metterti nei miei panni pensando a cosa potrebbe succederti se non riuscirò a salvarti. Prova a metterti nei miei panni e a ragionare con il mio cervello se non riuscirò a proteggerti. Vivrò con il rimorso per tutta la vita. - Che avrei fatto ora? Ero in totale difficoltà. Restare? O andare? - Io ti amo, Amber. - Disse afferrando il mio viso tra le mani - Ma, soprattutto, voglio che tu mi ami per quello che sono, con tutti i miei difetti e i miei segreti. - Maledizione. Volevo scomparire in quel momento - Non andartene, ti prego.
Io: Me lo hai insegnato tu.

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