CAPITOLO 10. Ricordi.

6.7K 186 1
                                    

"Non innamorarti di me." Come potrei? I miei gusti sono ben diversi. Innamorarmi di lui è, davvero, l'ultima cosa che farò. Afferro il mio PC, continuando a scrivere la mia storia. Una storia d'amore, ma diversa dalle altre. Dove lui è il solito ragazzo puttaniere, e lei la solita ragazza secchiona e sfigata. Un mix tra sentimento e passione. Davvero qualcosa di magico. Qualcuno bussa alla porta, interrompendo i miei pensieri. 
Io: Avanti. - Sulla soglia scorgo la figura di Paul. 
Paul: Mi cercavi?
Io: Oh si, entra pure. - Chiudo il PC, posandolo sul comodino. Entra nella mia stanza, sedendosi sul letto, accanto a me - Ascolta Paul, io... - Non so, proprio, da dove cominciare - Io credo...
Paul: So già quello che devi dirmi, diciamo solo che l'ho intuito. - Abbasso lo sguardo - So che non è facile per te, Amber, tutta questa storia ma cercherò in tutti i modi di venirti incontro. Non ho nessuna fretta con tua madre, avere la tua fiducia è la prima cosa che farò. - Lo guardo.
Io: Non prenderai mai il posto di mio padre, lo sai questo... vero?
Paul: Si, lo so bene. E non voglio assolutamente prendere il posto di tuo padre, so quanto è stato e quanto è importante per te. Le mie intenzioni sono ben diverse. Non oserei mai farti una cosa simile. - Dice accarezzandomi una mano - So quello che stai passando, lo capisco. - Torno a guardarlo.
Io: Lo capisci? - Dico sull'orlo di piangere.
Paul: Ho perso anch'io mio padre quando ero bambino. - Lo guardo stupita.
Io: P-Perdonami, io non...
Paul: Non preoccuparti, non stiamo parlando di me ma di te. - Si avvicina - Amber, voglio che mi ascolti molto attentamente. D'accordo? - Annuisco - Non sono qui per portarti via tua madre, non sono qui per farla soffrire... non sono qui per far soffrire te. Il mio compito è quello di proteggervi, di prendermi cura di lei e di te. - Una lacrima riga la mia guancia per poi cadere a terra - Non voglio, affatto, prendere il posto di tuo padre ma spero che, almeno, avendomi al tuo fianco puoi guardarmi sotto un altro aspetto. Ok? - Istintivamente lo abbraccio, affondando nel suo petto. Poco dopo sento le sue grandi braccia avvolgermi e una strana sensazione mi invade. 
Io: Scusami, ho sbagliato tutto con te... fin dall'inizio. Tu vuoi solo il meglio per noi ma io ero troppo orgogliosa per non capirlo. Perdonami Paul. 
Paul: è tutto ok. - Dice sussurrando. Eppure, in questo momento, tra le sue braccia, è come se mi sentissi a casa. Come se, in un solo abbraccio, mi stesse dimostrando il suo affetto, incondizionato, verso di me. L'ho giudicato troppo in fretta, senza accorgermi che, invece, è un uomo fantastico. 
TRE ORE DOPO
Sfoglio, come è mio solito fare da circa undici anni, ormai, l'album contenente le fotografie che ritraggono mia madre e mio padre nei loro primi appuntamenti. Ricordo ancora le storie che mi raccontava mia madre, ricordo ancora i suoi sorrisi quando parlava di mio padre, come se non se ne fosse mai andato. I miei si erano conosciuti a New York, dove papà frequentava uno di quegli inutili corsi di lingua per stranieri e mia madre era un'alunna come tante. Fu amore a prima vista e, come accade in questi casi, forse meritava un minimo di prudenza in più. Mia madre rimase incinta di me all'età di vent'anni, troppo presto per una donna dinamica e vivace come lei, troppo presto per un uomo festaiolo come mio padre. Per lei papà era stato il primo e unico amore, lo ripeteva ancora, ma credo che alla base di tutto ci fosse il motivo della mia nascita. Mio padre era un uomo pieno di sogni, un uomo pronto, sempre, a buttarsi in qualche nuova avventura. Ricordo quando mia madre mi raccontò il loro primo appuntamento, era il giorno di San Valentino. Era stata una serata tipica e poco movimentata, in una di quelle trattorie dove si mangia solo carne di maiale. Mio padre aveva ordinato mezzo litro di vino rosso della casa, provocando lo sdegno della mamma. Sorrisi a quel ricordo. Mi sono sempre chiesta se la loro storia d'amore non fosse stata tutta nella testa di mia madre perché, sinceramente, mio padre non aveva niente di irresistibile, a parte gli occhi. Quei splendidi occhi blu, come l'oceano, di cui, da bambina, ne ero perdutamente innamorata. Era un bell'uomo, questo si, ma, per quanto mi riguarda, possedeva una bellezza comune. Quando mia madre diceva di aver sposato un inglese le sue amiche lo immaginavano come un animale a letto. Un pensiero che mi portava sempre a rabbrividire. Mio padre non aveva il senso dell'umorismo inglese: al liceo era il solito secchione con il cardigan beige e mi chiedevo, vivamente, come mia madre avesse fatto ad innamorarsi di lui. Sorrisi vedendo una loro foto all'età di diciannove anni. Quanto a l'essere un animale a letto, bhè... non ci voglio nemmeno pensare. Dopo un anno dal loro fidanzamento mio padre decise di trasferirsi qui, a Los Angeles, dove entrambi trovarono lavoro: lui venne assunto nella banca più prestigiosa della città, un bel colpo da parte sua. Lei, invece, ottenne un posto alla University of LA, come insegnante di storia dell'arte, quando era già incinta di me. Se ne era andato, questo era vero ma se c'era una cosa che avevo capito era che ti rendi conto che la tua vita, nel bene e nel male, non sarà mai più la stessa e, per quanto ti sforzi di fingere che vada tutto a meraviglia, dentro di te sai perfettamente che il meglio è passato. E il tempo a venire dovrai impiegarlo a far credere agli altri che stai benissimo, per non farli preoccupare troppo e rischiare che si sentano in obbligo di darti una mano. Avere l'aiuto dei miei amici era davvero l'ultima cosa che volevo. Non ero il tipo di adolescente che ogni genitore sogna di avere, ammesso che ce ne sia un tipo ideale. Non perché fossi una teppista, ma perché, da quando mio padre se ne era andato, non sorridevo più come una volta e non ero quella che si definisce una "buona compagnia", tranne che per i miei amici. La mamma, spesso, mi ripeteva che la facevo sentire sola soprattutto quando eravamo in macchina per andare da qualche parte, non spiccicavo parola. Che ci potevo fare se gli altri non capivano le mie battute? Per gli amici, invece, ero la solita ragazza simpatica che ti fa sorridere nei momenti meno opportuni. Non ho mai creduto a questo. Come potevo, io, dopo aver perso un padre, far sorridere gli altri? Non era nelle mie doti! Sempre se avevo delle doti. Forse, era compito degli altri far sorridere me. Chiusi il pesante album, e lo riposi all'interno dell'armadio, dove custodivo tutti i ricordi di mio padre in un enorme scatola di metallo. Scesi al piano di sotto, trovando mia madre parlare al telefono con Paul. Versai un po' di succo in un bicchiere ascoltando, per quanto ci riuscissi, la conversazione di mia madre con il suo compagno. Guardai l'orologio, le 16.00 e mi ricordai che tra mezz'ora avevo quella specie di "appuntamento" con il mio migliore amico. Corsi in camere e iniziai a prepararmi: un shorts bianco, ballerine rosse in pandan con la mia amata camicetta a quadri dello stesso colore. Un filo di trucco, profumo ed ero pronta per divertirmi. Scesi le scale e, dopo aver salutato mia madre, mi incamminai verso il parco dove, ad aspettarmi, c'era già Josh. Gli corsi incontro, abbracciandolo forte. Ero pronta per svagarmi, ero pronta a passare una splendida giornata, insieme al mio splendido migliore amico. 

La sera, non avendo nulla da fare, decisi di vedere un film romantico con mia madre che rimane sorpresa, quanto me, della mia proposta. Titanic, l'unico film che ho sempre considerato, veramente, perfetto. Con una buona dose di pop corn iniziammo a guardare il film, senza pronunciare parola, nessuno e dico nessuno doveva distrarmi mentre vedevo, per la centesima volta, il mio film preferito. Abbracciai mia madre, che mi strinse in un affettuoso abbraccio. Dovevo fargli capire che io c'ero per lei, e che ci sarei sempre stata. Il nostro rapporto non era uno dei migliori. Ma tra madre e figlia possono starci delle complicazioni, no? E così c'erano anche tra di noi. Ma, dopo tutto, le volevo bene, un gran bene e anche se non glielo dimostravo attimo dopo attimo lei lo sapeva ed era questa la cosa che mi faceva stare bene, avere accanto una madre, meravigliosa come lei. Le mie compagne di scuola passavano le giornate insieme ai loro fidanzati. Io? Semplicemente in compagnia di mia madre, la mia migliore amica. Credo che lei, in cuor suo, avrebbe preferito che anch'io, come le altre adolescenti, uscissi con i miei amici e, anche se lo facevo, non era lo stesso. Passare le giornate con lei era la mia cura e mi sentivo bene perché sapevo che, almeno lei, non mi avrebbe mai lasciata sola. E di questo gliene ero grata, infinitamente grata. 
Il giorno dopo fui costretta ad aprire gli occhi a causa dei raggi del sole che penetravano dalla finestra. Finalmente, dopo tre giorni di fila di pioggia, una giornata degna di chiamarsi "perfetta." Indossai, velocemente, un paio di jeans neri, attillati, una maglia bianca, semplice, e converse abbinate. Scesi al piano di sotto, incamminandomi verso la cucina. Morivo di fame e, con mia grande sorpresa, trovai, ad aspettarmi, i deliziosi pan cake di mia madre. Sorrisi a trentadue denti e mi sedetti al mio posto, iniziando a mangiare. Dopo aver finito, dopo aver salutato mia madre, uscì di casa pronta per iniziare un altro pesante, stressante, noioso, interminabile giorno di scuola.

Our love suicideWhere stories live. Discover now