CAPITOLO 99. Tornare indietro.

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ORE 21.30
Costretta a restare.
Costretta a restare in quella cosa con lui.
Costretta a restare lì per non so quanto tempo.
Costretta dal maledetto tempo.
La pioggia continuava a battere incessante sul vetro della finestra del salone. Non distoglievo gli occhi da quel vetro, mentre la notte era già calata da un pò. Non avevo cenato. Non avevo voglia di toccare cibo. Non avevo voglia di fare nulla. Mi alzai dal divano, avvicinandomi al camino. Mi sedetti a terra, riscaldandomi. L'orologio segnava le nove e trentadue e, nonostante il continuo brontolio nel mio stomaco, non mi alzai da quella posizione. Avevamo mezzo chiarito, nel senso che non a tutto era stata trovata una via d'uscita. Quelle cose non le pensava veramente, almeno questo era quello che mi aveva riferito lui e io, in tutta sincerità, non sapevo se crederci o no. Avevo bisogno di piangere. Volevo urlare e prendere a pugni un cuscino. Chiusi gli occhi, sospirando. Qualcosa di caldo di posò sulle mie spalle. Notai Justin sedersi al mio fianco e una grande coperta rossa ricoprire le nostre spalle. Tornai ad osservare il fuoco all'interno del camino, mentre l'imbarazzo iniziava a farsi sentire.
J: Hai voglia di fare qualcosa in particolare? - Disapprovai con la testa - Potremmo vederci un film.
Io: Non mi va.
J: Ok. Che mi dici allora di giocare a scacchi?
Io: Non so giocare a scacchi.
J: Bhè, potrei insegnarti le varie regole. - Accennò un sorriso. Tutta questa forza di sorridere io non l'avevo proprio.
Io: Non mi va. - Sospirò, annuendo.
J: Vuoi proporre qualcosa tu?
Io: Non ho voglia di fare niente, Justin. Ti è chiaro se te lo dico così? - Lo guardai nervosa.
J: Va bene. - Rispose in difficoltà. Ritirai le gambe al petto, lanciando palline di carta all'interno del camino - Vuoi almeno mangiare qualcosa?
Io: No Justin. - Volevo solo tornare a casa mia. E lui lo sapeva - Quando posso tornare a casa? - Non ottenni subito una risposta e capì dal suo silenzio che aveva intuito quello che cercavo di dire: volevo ripartire da zero. Volevo tornare a scuola e uscire con i miei amici come una normale 18enne. Ma, fanculo, non era possibile.
J: Non lo so. - Sbuffai infastidita. "CALMATI CRISTO SANTO! NON VEDI CHE COSÌ STAI SOLO PEGGIORANDO LE COSE?" "Non sto peggiorando nulla!" "OH SI, INVECE. GUARDARLO, TESTA BACATA!" Mi voltai verso di lui, osservandolo "LO DISTRUGGERAI DEFINITIVAMENTE SE PARLI ANCORA." E i sensi di colpa mi divorarono.
Io: Mi dispiace. - Confessai - Sto sparando cazzate.
J: So che stai dicendo la verità, Amber. - Troppo tardi.
Io: Scusa... - Mi morsi il labbro inferiore, posando il mento sulle ginocchia. Il silenzio ci circondò del tutto. Maledetto. Solo il fuoco all'interno del camino che scoppiettava lo rompeva di rado. Non sapevo davvero cosa dire, ma forse restare in silenzio era la cosa migliore. Voltai il viso verso di lui, notandolo a fissare la fiamma davanti a se. Era bellissimo. La luce del fuoco si specchiava attraverso i suoi occhi rendendoli stupendi. La mascella era rilassata ma, allo stesso tempo, la bocca assumeva un espressione tra il duro e il calmo. Lo sguardo era stralunato, perso, spento, quasi morto. I suoi occhi si incontrarono con i miei per interminabili secondi - Come ti senti? - Domandai.
J: Come se avessi preso un camion in piena faccia. - Ingoiai a stento la saliva.
Io: E-E fa male?
J: Si, soprattutto perché alla guida c'eri tu. - Dopo avergli sentito pronunciare quelle parole le mani iniziarono a tremarmi e l'istinto mi costrinse a riportare lo sguardo altrove - Ma sai qual'è la cosa che fa più male? - "Non dirlo. Ti prego, non parlare..." - Vedere che tutto ciò in cui hai sempre creduto è stata solo un'emerita stronzata. - Detto.fatto. Il mio cuore perse un battito, forse due, o tre. So solo che poco dopo fui costretta ad alzarmi dal mio posto e a percorrere le scale verso il bagno, dove mi chiusi al suo interno per non so quanto tempo. Poggiai la schiena contro la porta di legno, coprendomi la mano con la bocca. E piansi... piansi fuoco.

Quando scesi le scale e tornai al piano inferiore notai Justin ancora seduto al suo posto. Si voltò verso di me, sentendo i miei passi. I miei occhi erano ancora colmi di lacrime, rossi e gonfi. Lo vidi alzarsi da terra e piegare la coperta per poi posarla sul divano. Si avvicinò a me, con le mani nelle tasche dei pantaloni.
J: Come stai?
Io: Perché dovresti essere preoccupato per me?
J: Perché... - Non continuò la frase e la lasciò così, a metà.
Io: Perché non è una risposta adeguata. - Lo sorpassai, avvicinandomi al divano.
J: Che stai facendo? - Non risposi. Afferrai la coperta rossa e me la avvolsi intorno al corpo - Amber è tardi e dobbiamo andare a letto.
Io: Lo sto facendo. - Corrugò la fronte.
J: Non penserai di dormire sul divano.
Io: E perché no? Si sta comodi, sai?
J: Smettila di fare la bambina e vieni con me.
Io: Non darmi ordini. - Dissi guardandolo arrabbiata - Non dirmi quello che devo fare, chiaro? - Sospirò, abbassando il capo - Bambina... io? Ma ti prego. Ti sei visto, cazzo? - Alzai il tono della voce.
J: Sei tu qui l'unica bambina.
Io: Non credo proprio. Sono molto più matura di te in tutto, credimi. - Non avremmo mai trovato una fine, lo sapevo. Continuavamo a litigare per ogni cosa, anche per la più piccola e insignificante cosa.
J: Che succede? Il tuo perizoma non ti sta permettendo la circolazione? è per questo che stai facendo la stronza con me? - Mi alzai furiosa dal divano, lasciando cadere a terra la coperta. Camminai verso di lui e lo spintonai violentemente. Sbattè la schiena contro il muro ma nemmeno la botta presa gli fece male o lo scomposte da quella espressione che si ritrovava sul viso.
Io: Rimangiati quello che hai detto. - Gli dissi arrabbiata, avvicinandomi. Sorrise divertito, irritandomi maggiormente - Lo trovi divertente?
J: Adoro vederti arrabbiare. Sei così sexy. - Disse leccandosi le labbra. Sgranai appena gli occhi, allontanandomi - Basta una frase per metterti in difficoltà eh, piccola? - Deglutì, camminando di nuovo verso il divano - Vieni con me, avanti.
Io: Non vengo proprio da nessuna parte.
J: Amber, sono serio. Non voglio che dormi qui da sola.
Io: E io voglio invece, va bene? - Urlai.
J: Va bene, dormirai sul divano, porca puttana! Spero che tu abbia una buonanotte del cazzo Amber. - Disse prima di scomparire tra le scale. Mi distesi sul divano, coprendomi con la coperta. Dannato stronzo. Odiavo il suo comportamento. Eravamo tornati indietro. I litigi stavano riniziando. Gli insulti stavano riniziando. E la mia pazienza in tutto questo si stava esaurendo. Ma quell'era il suo problema? Cosa c'era che non andava? Tutto, decisamente tutto.

La mattina seguente mi alzai con poca voglia ma fui costretta a farlo dati gli accecanti raggi del sole che baciavano il mio viso. Mi stiracchiai e sbadigliai sonoramente. Notte perfetta, decisamente. Era da tanto che non dormivo così bene. Aprì lentamente gli occhi e mi alzai, raggiungendo la cucina. Justin probabilmente ancora dormiva perché nessun rumore si percepiva per tutta la casa. Aprì il frigo, il ragazzo aveva fatto scorta di cibo, almeno a qualcosa serviva allora. Afferrai del succo all'arancia e lo versai in un bicchiere di vetro. Lo bevvi in silenzio, osservando al di fuori della finestra. Morivo di fame ora. Spalmai su una fetta di pane della marmellata ai lamponi. Mangiai velocemente, e posai il bicchiere all'interno del lavandino. Uscì dalla cucina e mi bloccai nel bel mezzo della strada tra cucina e salone. Fissai le scale alla mia sinistra mentre uno strano pensiero mi affiorava la mente. "BHÈ? COSA ASPETTI?" Avanzai lentamente, percorrendo ogni scalino uno ad uno. Forse era sbagliato quello che stavo facendo, ma era sempre stata una mia passione osservarlo dormire. Mi trovai davanti la porta della camera da letto e la mia mano tremolante si posò sulla maniglia d'argento. "ENTRA! ENTRA!" Mi esortava la mia dea interiore. E lo feci. Aprì lentamente la porta che cigolò appena. In punta di piedi entrai nella sua stanza, richiudendo la porta alle mie spalle. Lo vidi muoversi nel letto. Sgranai gli occhi, rimanendo immobile. Non si svegliò, ma continuò il suo sonno. Tirai un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi. Mi avvicinai lentamente al letto e gattonai verso di lui. Lo osservai dall'alto, cribbio se era bello. Lentamente, presi ad accarezzargli una guancia, sorridendo. Odiavo litigare in quel modo con lui, odiavo farlo sempre. Il nostro rapporto non doveva essere bastato su continui litigi, no. Io e lui dovevamo essere uniti, ancora di più in questo periodo. Non sarei mai davvero andata via da lui, anche se ogni volta cercavano di farlo. Ma mi bastava annegare nelle sue iridi dorate per capire che tutto ciò era una cazzata. Per capire che il mio posto era lì, con lui.
Io: Resterei sveglia solo per sentirti respirare. - Gli sussurrai contro un orecchio. Le mie labbra si posarono sulla sua guancia, depositando un leggero e casto bacio. Il suo profumo invase le mie narici, e chiusi istintivamente gli occhi stringendo tra le mani la collana che portava al collo. Avevo bisogno di lui.
J: Sapevo che saresti arrivata. - La sua voce mi arrivò dritta al cuore. Aprì di colpo gli occhi, tornando alla mia posizione iniziale. Lo guardai sorridermi, con gli occhi ancora assonnati. Una profonda malinconia mi invase e gli occhi iniziarono a bruciare, nemmeno io sapevo il perché. Ma mi bastava che i suoi occhi si incontrassero con i miei per farmi esplodere, sia dentro che fuori.
Io: V-Vuoi che me ne vada?
J: No. - Disse sorridendo.
Io: Mi dispiace, non volevo svegliarti. - Sorrise ancora, osservandomi come mai aveva fatto fin'ora. Era strano, davvero strano.
Io: Perché sorridi in quel modo? - Chiesi imbarazzata.
J: Perché non aspettavo altro che averti di nuovo qui, con me.

Our love suicideWhere stories live. Discover now