CAPITOLO 59. Abbiamo rovinato tutto.

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IL GIORNO DOPO

Sciocca, insolente, ingenua, incosciente, totalmente idiota. Ero stata questo il giorno prima a casa mia, lasciando che le sue mani mi toccassero, di nuovo. Lo avevo promesso a me stessa che mai, mai sarebbe ricapitata una cosa simile, ma mi sbagliavo. Con il fuoco non si giocava affatto, e io avevo preso una bella scottatura. Camminai tra i corridoi della scuola, con lo zaino su una spalla. Arrivai negli spogliatoi femminili, dove chiusi la porta alle mie spalle. Buttai lo zaino a terra, sospirando. Mi avvicinai al grande specchio della sala, osservando la mia immagine. Come avevo potuto? Come avevo potuto essere così incosciente senza prima ragionare? Come avevo potuto permettergli di toccarmi ancora? Dannazione. Non avrei dimenticato facilmente l'accaduto. Forse mi stavo facendo troppi problemi ma mi sentivo come chiusa in una bolla che sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro. Mi sentivo soffocare, totalmente. Avevo sbagliato, perché? Perché ora lo volevo di più di prima. E il pensiero di vederlo mano nella mano con quella Cassandra come se niente fosse successo mi fece incupire del tutto. Mi sedetti a terra, incrociando le gambe a mo' di indiano e appoggiai la testa sulla parete. E piansi, piansi fuoco. Non seppi dire con esattezza perché lo feci, se per avergli permesso di toccarmi ancora, se per averlo lasciato andare senza chiarire o se per quella Cassandra. Ma tutto, tutto mi impediva di smettere e capì che le motivazioni erano tutte e tre, nessuna esclusa. Mi coprì il viso con le mani, singhiozzando. Perché il mio cuore aveva scelto proprio lui? Perché non potevo innamorarmi di qualcun altro? Perché quella maledetta sera dovevo incontrarlo proprio io? Mi sentivo uno schifo. Mi sentivo una merda. Mi sentivo una tale cogliona da prendermi a schiaffi da sola. Ma avevo ragionato minimamente in quel momento. Mi ero lasciata andare ma sapevo che se avremmo continuato ancora, sarebbe finita in quel modo. Guardai il soffitto sopra la mia testa, desiderando mentalmente di sparire. Mi alzai con poca voglia, asciugandomi le lacrime. Mi incamminai vero la mensa della scuola, sedendomi accanto a Taylor e a Josh.
T: Come va? - Feci spallucce, sorseggiando il mio succo all'arancia. Lei e Josh si guardarono - è successo qualcosa, Amber? - Disapprovai con la testa.
Josh: Sicura? - Annuì. Un morto vivente, ecco cos'ero. Non riuscivo a pronunciare parola. Loro sapevano, tutto. Sapevano di quella sera. Sapevano cosa era successo a casa di Justin. Sapevano come mi sentivo in quel momento. Ma non sapevano di ieri pomeriggio. No. E non glielo avrei detto. Alzai lo sguardo, sospirando. E incrociai gli occhi di Justin. Merda. Mi guardava preoccupato, quasi a volermi rassicurare con un solo sguardo. Ma niente poteva aggiustare ciò che era accaduto, tantomeno lui. L'espressione del suo viso era rilassata, forse anche troppo. Ma quegli occhi, quei dannati occhi trasmettevano così tante cose. E solo quando Cassandra spuntò da dietro abbracciandolo capì che non potevo andare avanti così, che non riuscivo a sopportare tutto questo. Lui le sorrise appena, per poi tornare a guardarmi. Ma era troppo tardi, stavo già percorrendo la strada per uscire dalla mensa.
PARTE JUSTIN
Mi liberai dalla presa di Cassandra alzandomi dalla sedia.
C: Ehi, che hai?
Io: Nulla. Torno subito. - Uscì velocemente dalla mensa, cercando Amber con lo sguardo. Quando notai una porta in lontananza chiudersi capì che era lei. Mi avvicinai con passo svelto, trovandomi a fissare quella porta. La mia mano tremolante si posò sulla maniglia e l'abbassai lentamente. Prima di entrare del tutto osservai quella stanza e mi accorsi che era l'aula di chimica. La vidi seduta su un tavolo, con lo sguardo rivolto al pavimento. Entrai di colpo, attirando la sua attenzione. Mi guardò spaesata per qualche minuto ma quando realizzò chi fossi distolse lo sguardo dal mio. Afferrò da terra il suo zaino e si avvicinò, pronta per uscire da quella classe. Ma la bloccai per un polso, chiudendo la porta alle mie spalle. Il suo corpo era attaccato al mio, il mio corpo era attaccato al suo e in quel momento sentì il bisogno di abbracciarla. E lo feci. La strinsi a me, accarezzandole i capelli. Non ricambiò l'abbraccio, ma lasciò pendere le braccia lungo i fianchi.
Io: Sono qui. - Le sussurrai ad un orecchio - Io sono qui. - Ma niente riusciva a farla muovere da quella posizione. Il battito del suo cuore aumentò, mischiandosi al mio. Posai le mani sulle sue spalle e l'allontanai di poco, quanto bastò per osservare il suo volto. Triste, angosciata, stordita, arrabbiata, cupa, morta. Era questo in quel momento davanti ai miei occhi. Una stretta al cuore mi colpì, e l'abbracciai di nuovo questa volta con più calore. Non avevo intenzione di lasciarla andare, ma forse era la cosa migliore.
A: Ti odio... - Sussurrò contro il mio orecchio. E solo in quel momento mi resi conto di tutto il male che le stavo provocando. Un singhiozzo fuoriuscì dalle sue labbra, e iniziò a tremare tra le mie braccia.
Io: Io no. - Risposi serio.
PARTE MIA
Iniziai a tremare visibilmente contro di lui ma cercai in tutti i modi di non respingerlo, avevo bisogno del calore del suo corpo contro il mio. Ma mi sentivo soffocare: avevo voglia di gridare, di spingerlo via, scappare, diventare invisibile. Avevo un disperato bisogno di cancellare l'ultimo mese. Troppe cose erano successe, troppe cose da farmi sentire male. E non so se furono le sue carezze tra i miei capelli, o il suo respiro sul mio collo ma una cosa era certa: in quel momento, la diga si ruppe, del tutto. E se prima stavo solo singhiozzando adesso stavo piangendo fuoco. Le lacrime che avevo cercato di trattenere davanti a lui si presentarono, inondandomi il viso, veloci, feroci, inaspettate, violente. E mi bagnarono le labbra, le gote, l'intero volto. Stretta tra le sue braccia mi sentì in paradiso, o forse più probabilmente tra le fiamme dell'inferno. E mi accasciai a terra, sfinita, lasciando che i singhiozzi mi trapelassero l'anima, ferocemente.
J: Dio Amber, cos'hai? - Disse chinandosi davanti a me, afferrando il mio viso tra le mani.
Io: Abbiamo rovinato tutto Justin, tutto. - Sussurrai. Non parlò, e questo accrebbe solo il mio senso di colpa e di vuoto. Mi ero lasciata usare di nuovo, il pomeriggio seguente. Perché? Perché lo volevo con tutta me stessa. Perché ero lucida e cosciente, e questa volta l'alcool non c'entrava nulla. Perché le lacrime si fermarono poco dopo, ma lui rimase in silenzio, tirandomi contro il suo petto, cullandomi tra le sue braccia come una bambina. Perché ero questo, ero la sua bambina. Perché l'errore più grande fu chiedermi se avesse dormito anche con Cassandra dopo averci fatto sesso, avendo trascorso quel pomeriggio con me - Che stupida cogliona. Non faccio altro che odiarti, che odiarla, che odiarvi perché lei c'è l'ha fatta ad essere tutto quello che io non sono mai riuscita ad essere. Che cogliona che sono. Perché a volte penso che tu possa lasciarla per tornare di nuovo da me. Che stupida. Che cogliona. Ma ti amo, capisci? - Sussurrai stretta tra le sue braccia - Ma va tutto bene, capisco. È più carina. È più divertente. È migliore. Tranquillo, nemmeno io mi sceglierei. - Dissi staccandomi con violenza da quell'abbraccio. Mi alzai da terra, afferrando il mio zaino. Mi guardò per interminabili minuti, senza pronunciare parola. Quello che aveva fatto fino all'ora - Onestamente? Non so se devo trattenerti o lasciarti andare. è stupido trattenere qualcosa che continua a farti del male, ma è anche stupido lasciare andare tutto quello che hai sempre voluto. - Lo guardai un'ultima volta negli occhi - Stammi bene Justin. - Dissi con le lacrime agli occhi, prima di correre via.

La sera io e mia madre uscimmo per distrarci un po'. Ma ogni cosa mi impediva di farlo.
M: Tesoro, che succede? - Disse attirando la mia attenzione.
Io: Nulla mamma. - La rassicurai con un sorriso forzato.
M: Problemi con Justin? - Sbiancai di colpo. Cosa cazzo le avrei detto ora?
Io: Ehm... nono. Tranquilla.
M: Perché menti? - Non ebbi il coraggio di guardarla negli occhi. Non sapevo affatto cosa dire perché tutto mi ripeteva che una spiegazione non c'era.
Io: Perché sono cosa mie, mamma.
M: Sai che puoi dirmi tutto. - E lo feci. Le raccontai ogni cosa, dall'inizio alla fine. Tralasciando, ovviamente, le situazioni imbarazzanti che ci avevano coinvolto. Mi confidai con lei come mai fin ora, avevo davvero bisogno del suo appoggio. Forse era giusto così. Io per la mia strada e lui per la sua. Era impossibile andare avanti con questo strazio. Avrei cambiato un po' di cose nei giorni successivi, a partire da me. Sarei diventata un'altra persona, ma lo avrei fatto per il mio bene. Forte, determinata, senza scrupoli. Andando avanti per la mia strada senza che nessuno intralciasse nei miei piani.


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