CAPITOLO 66. Sofferenza umiliazione dolore.

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Dopo quella mattinata a parlare, dopo quella sera, me ne andai definitivamente da casa sua. Ero tornata a casa da due gironi, ormai. E sebbene non avessi ancora accettato il fatto che mia madre aspettasse un figlio proprio da Paul, avevo deciso di tornare. Era pur sempre casa mia e non avrei permesso ad un moccioso di allontanarmi da mia madre, tutto quello che mi restava di buono e puro nella vita. Troppe cose erano successe in quei giorni: la gravidanza inaspettata di mia madre, la rottura di Taylor e il suo ragazzo e il fatto di aver fatto l'amore con Justin. Eravamo giustificati da incoscienti, sciocchi e ubriachi ma non da lucidi, sobri e coerenti. Malgrado non lo volessi, era successo di nuovo e stavolta non c'erano scuse per ciò che avevamo fatto. Un errore? Uno sbaglio? La cosa giusta? O semplicemente l'effetto dell'attrazione? Infondo, eravamo questo. Attratti l'uno dell'altro. Quando Josh piombò di punto in bianco nella mia stanza venni bruscamente distratta dai miei pensieri.

Io: Ehi. - Dissi alzandomi dal letto - Cos'è quella faccia? - Mi avvicinai. Abbassò lo sguardo, sospirando.
Josh: Io... io so perfettamente che non dovrei essere qui. So perfettamente che non dovrei dirti questa cosa ma... mi sento in dovere di farlo Amber. - Lo guardai attentamente negli occhi, avvicinandomi.
Io: è tutto ok Josh. Cosa succede?
Josh: No Amber, non è affatto tutto ok. Lo sai cosa cazzo ha fatto il tuo caro Justin? - Al suono di quel nome una profonda ansia mi invase.
Io: C-Che è successo? - Avanzai di un passo - Per l'amor del cielo Josh, parla! - Urlai.
Josh: Ha picchiato Ryan! - Ryan? Cazzo, Ryan! Di nuovo, porca miseria.
Io: Come sarebbe a dire?
Josh: Davanti al parco Amber, si sono picchiai davanti a mezzo vicinato! - Disse alzando il tono nella voce.
Io: E tu? Tu non hai fatto niente?
Josh: Cosa cazzo dovevo fare? C'erano già dei tizi che cercavano di bloccarli, ma io non ho potuto fare nulla. Non sono riuscito ad avvicinarmi. - Mi passai una mano tra i capelli, agitandomi.
Io: Come sta? Come cazzo l'ha ridotto?
Josh: Hanno perso entrambi parecchio sangue. Chaz ha portato quel coglione in ospedale, le sue mani non smettevano di sanguinare. - Detto ciò, afferrai il primo giacchetto a tiro che mi capitò e corsi giù per le scale seguita a ruota da Josh - Cosa pensi di fare?
Io: Andare da lui. - Dissi seria afferrando le chiavi della macchina.
Josh: Cosa? - Rispose incredulo - Amber, non puoi! - Mi urlò alle spalle.
Io: Posso eccome Josh, posso eccome. - Entrai all'interno della machina di mia madre, partendo verso l'ospedale.

Quando arrivai, fermai a stento un dottore che riuscì a indicarmi la stanza di Justin. E, quando ne varcai la soglia, lo trovai seduto su un letto mentre fissava una grande finestra davanti a se.
PARTE JUSTIN
Mi voltai di scatto, e notai Amber camminare furiosamente verso di me.
A: Idiota, stupido, coglione, senza cervello che non sei altro! Si può sapere che cazzo ti salta per la testa, eh? - Disse ad un soffio dal mio viso. Dannazione, adoravo quando si arrabbiava, era tremendamente bella.
Io: Sei così sexy quando ti arrabbi. - Dissi sorridendo appena.
A: Oh fanculo Justin, seriamente. Sono completamente stufa del tuo comportamento. Perché cazzo lo hai picchiato ancora? - Abbassai lo sguardo, irrigidendo la mascella - Rispondi dannazione! - Disse urlando.
Io: Oh andiamo! Cosa c'è di male in questo faccino? Non credi che le ferite mi rendano ancora più sexy? - Avvampò alle mie parole.
A: Smettila di scherzare e rispondi alla mia domanda.
Io: Cose personali... - Risposi pacato.
A: Se ci sono di mezzo io in questa storia non sono affatto cose personali. Degnati a parlare! - Disse seria. La guardai negli occhi, a fondo. Indossava un jeans stretto che metteva in risalto le sue perfette curve. La maglietta aderente lasciava immaginare parecchie cose e il giacchetto di pelle nera la rendeva estremamente provocatoria. I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle e arrossì violentemente quando si accorse che il mio non era puro e semplice osservare, le stavo facendo un'attenta radiografia. E se ne accorse, abbassando il capo - Rispondimi. - Disse pacata, in tono basso. Mi alzai dal letto e camminai, lentamente, verso di lei. Le sfiorai con una mano una guancia, ma indietreggiò di scatto. Strinsi forte i pugni, ricordandomi le sue parole di due giorni prima. Non voleva essere più toccata. Me ne ero del tutto dimenticato - Perché l'hai picchiato, Justin?
Io: Per te. - Sussurrai. Corrugò la fronte, senza trovare un senso alle mie parole.
A: Per me? Come puoi menare qualcuno per me?
Io: L'ho già fatto in passato, ricordi? - Abbassò lo sguardo, sospirando.
A: E cosa pensi di risolvere con la violenza?
Io: Si possono risolvere molte cose con la violenza. - Disapprovò con la testa - Chi ti ha detto che ero qui?
A: Josh. Era lì quando è accaduto tutto. - Distolsi lo sguardo, fissando la parete bianca alla mia destra.
Io: E dovevi proprio venire? - Mi guardò spaesata e, allo stesso tempo, mortificata.
A: Io... io non credevo di...
Io: Nessuno ti ha dato il permesso di presentarti. - Dissi precedendola.
A: Non c'era nessun bisogno di un permesso, Justin. Ho saputo che eri qui e così sono venuta.
Io: Potevi restare benissimo a casa. Non ho bisogno di te.
PARTE MIA
Fu come ricevere una pugnalata al cuore, o forse peggio. Si girò di spalle, ricomponendosi. Lo guardai allibita, ferita, amareggiata. Ero stata solo una povera stupida a presentarmi lì.
Io: Perdonami... - Sussurrai con il capo basso - Ma non credevo di trovarti qui per un altra stupida litigata.
J: E perché diamine ci dovrei stare Amber, me lo spieghi? Per scoparmi un infermiera? Per darmi alla pazza gioia senza di te?
Io: Io non intendev...
J: Bhè sai, forse avrei dovuto farlo, dato che me la dai solo quando ti fa comodo. Ma forse già mi sono scopato per bene Cassandra, chi lo sa. - A quelle parole sgranai gli occhi. Lo aveva detto sul serio? Osservai la sua reazione: le pupille si restrinsero lentamente, permettendo all'iride di apparire più chiara. Le labbra spaccate a causa dei pugni di dischiusero, quasi sorprese della stessa cattiveria che avevano pronunciato. Ingoiai con difficoltà la saliva, sentendo una sensazione di nausea crescermi dentro.
Io: Quindi sono questo per te? - Domandai non assettandomi un effettiva risposta, per tanto continuai - Una scopata mancata? Un accollo perché non te la do? - Domandai sputando le ultime parole con odio e delusione.
J: Amber, io...
Io: Taci! - Urlai sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, e lo zittì - Non ti azzardare minimamente a ripresentarti a casa mia. - Dissi fredda prima di allontanarmi per tornare indietro, prima di uscire da quella stanza. Mi incamminai, con passo svelto, verso le scale. Infuriata, ferita, derisa, umiliata, delusa. Sentì la sua mano stringere il mio avambraccio, fermandomi - Non toccarmi! - Urlai girandomi verso di lui. Parecchi occhi si voltarono verso di noi, osservandoci con attenzione. - Tu.mi.fai.schifo. - Dissi scandendo per bene parola per parola. Gli occhi bruciavano, la gola bruciava. Mi guardò dispiaciuto, pentito. Ma mi faceva solo una gran pena in quel momento. Mi incamminai verso l'uscita con passo più deciso e lungo, mostrando più rabbia nella mia camminata che ora ricordava quella di un dinosauro incazzato. Mi incamminai senza mai voltarmi indietro. E me ne andai con il volto ormai bagnato, con la morte nel cuore e il sorriso sotto ai piedi. Masticai i passi, tremai immobile, respirai il dolore. La sofferenza era nulla messa in confronto alla rabbia, all'umiliazione e al dolore che provavo. Mi sentivo come lava incandescente: pericolosa, infuocata, pronta a distruggere tutto. La rabbia, l'odio, la costante umiliazione mi bruciavano vividi sulla pelle, senza darmi modo di pensare o ragionare, ma era tutto concentrato nella mia mente: l'immagine di lui che, dopo avermi toccata, baciata, amata si infilava tra le gambe di un'altra. Era... cosa? Disgustoso, ripugnate, deplorevole. Senza rispetto, ne riguardo nei miei confronti. Non mi aspettavo che si sarebbe astenuto dal sesso per tutta la vita ma speravo che avrebbe avuto almeno la coerenza di far passar qualche dannato giorno. E invece no, aveva goduto come un porco tra le gambe di una troia. E mi ero sbagliata ancora un volta. E avevo fatto la scenata da gelosa, come sempre. E ne ero uscita a pezzi, di nuovo. Arrivata a casa mi barricai nella mia camera, lasciando ogni spiffero di sole, gioia o vita al di fuori della mia stanza, racchiudendomi nella più completa oscurità. Avevo sempre tenuto alla larga i ragazzi che ci provavano con me, tenuto sempre il mio corpo a riguardo da mani indiscrete, riservandomi al ragazzo che mi avrebbe amata, capita e non usata. Allora l'unica domanda spontanea che mi sorgeva era: perché lo avevamo rifatto? Perché ci eravamo trovati da soli, in una casa vuota, dopo non esserci visti per giorni? Perché lo aveva fatto? Perché era in astinenza da troppo tempo? Perché non avevo saputo resistere al suo tocco, al suo respiro sulla mia pelle, al suo corpo e ai suoi baci? Perché stava diventando tutto così maledettamente complicato, contorto e impossibile? Non avevo risposte, ma di una cosa ne ero consapevole: il nostro rapporto stava diventando qualcosa di più difficile e meno sincero.


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